Kirsty MacColl non è mai stata apprezzata pienamente come avrebbe meritato ed ha avuto un percorso artistico discontinuo e frammentario pur essendo figlia di Ewan MacColl e moglie di Steve Lillywhaite, spezzettato in soli cinque album nell’arco di vent’anni, con parecchi singoli sparsi ed un riscontro commerciale non all’altezza di quanto espresso artisticamente, ma è stata la magnifica interprete di un cantautorato pop-rock di altissimo livello, non inquadrabile in nessuno stantio clichè se non quello della sua arte, onesta, sincera, rifuggente da tutto ciò che artificioso e costruito a tavolino. Decisamente troppo poco sciantosa per essere una popstar di successo e troppo poco snob per ambire ad un posto nel pantheon delle celebrità “alternative”, un destino comune a buona parte degli artisti a me più cari.
Dopo il singolo di debutto “They Don’t Know”, datato 1979, due anni più tardi arriva il primo LP, “Desperate Character”: Kirsty ha all’epoca solo ventuno anni, e si sente: questo è un album adolescenziale ed acerbo nel senso di istintivo, fresco, appassionato, spontaneo; pop rock semplice e sincero, intriso di amori ed altre piccole storie di gioventù, dolce con un piacevole retrogusto asprigno, come un’albicocca. Una giovanissima Kirsty MacColl che da Croydon guarda da vicino all’America più che all’Inghilterra operaia cantata da suo padre, come dimostrano i trascinanti e spassosi rockabilly di “Clock Goes Round”, “There’s A Guy Works Down At The Chip Shop Swears He’s Elvis” e il delizioso ed agrodolce simil-country di “Teenager In Love”, con un piccolo e faceto excursus oltre il Rio Grande, il semi-nonsense di “Mexican Sofa”, nota anche come “Tijuana cup of coffee, Tijuana cup of tea”.
Tutto l’album è un continuo florilegio di belle melodie e colori vivaci, canzoni come “See That Girl” e “Hard To Believe” sono degli archetipi per quello che sarà il pop-rock semiacustico e sentimentale che Kirsty svilupperà nei successivi album “Kite” ed “Electric Landlady”, mentre in altri frangenti emergono sonorità vintage, anni ’60 e ’70, come l’assolo di organetto simil-Doors di “Falling For Faces” o il vivace pop smaccatamente sixties di “Just One Look” ed “He Thinks I Still Care”, la semi-ballad jazzy “Until The Night” e lo swing anni ’30 accattivante e graffiante di “The Real Ripper”. Desperate Characher” scorre veloce, divertente e senza cadute di stile, la vocalità empatica, versatile, mai invadente, sbarazzina e brillante di “Kirsty MacColl colpisce nel segno, tanto quanto il suo songwriting semplice e sincero, acqua e sapone, e per questo splendente di luce propria, ci si trova così in presenza di un disco frizzantino ed adorabile, che nella sua acerba semplicità è forse il più riuscito di Kirsty MacColl insieme all’epilogo “Tropical Brainstorm”, ad ascoltando questi due dischi apparentemente così lontani tra loro nello stile e nel tempo si più comprendere lo spessore di questa vera artista, capace di rimanere sé stessa da Croydon a Cuba, sempre con la stessa ironia, lo stesso fascino naturale e genuino, lo stesso sorriso.
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