"The World Is In Fear Again and It Has All Been Manufactured", apostrofa il preludio.
Dannata sia la predilezione per i nomi insoliti e stravaganti. Mi hanno fregata And You Will Know Us by the Trail of Dead, Please Inform the Captain this is a Hijack, The Plot to Blow Up the Eiffel Tower, The Strange Death of Liberal England. E continuo a caderci.
Il nome galeotto questa volta è Kiss the Anus of a Black Cat e trattasi di Belgio, come se io di musica belga non ne avessi mai ascoltata. Ma Stef Irritant, unico titolare del monicker, l'indie non sa nemmeno dove sia di casa. Si trascina dietro le suggestioni negromantiche che il nome ispira e le imbastardisce con reminiscenze Tibet-iane. Tuttavia si distacca dalla monotonia di Current 93 e abbraccia spesso e volentieri influenze medievaleggianti, per quanto si possa mescolare il punk dei Rudimentary Peni ("Beyond The Tanarian Hills") alla musica medievale.
Una prima parte che riscalda gli animi ("The Firesky", "The Cranes Are Scared Of Sunworlds"), per poi frenare bruscamente con "Salt", ballatona con l'aggiunta di piano, violoncello e, ossimoricamente, più che sale una buona dose di zucchero. La seconda parte del disco, invece, si fa più gotica e riflessiva.
Ne esce un mix bastardo fatto di atmosfere cupe, giri di accordi angosciosi ripetuti ad oltranza, ma anche acquerelli bucolici e canzoni con ritornelli trascinanti. La chitarra acustica è onnipresente, ma ciò non esclude distorsioni accompagnate da scampanellii e un modo di cantare che ricorda un certo punk dei tempi che furono.
Dark folk? Neofolk? Folk apocalittico? Troppi gli ingredienti buttati nel calderone perché ne emerga un qualcosa di omogeneo e definito. Ma qualsiasi sia la lezione che Stef Irritant ha imparato, l'ha imparata bene.
I write no more but I still dream.
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