PILLS OF BLACK DEVELOPMENT  (episode I)

Ho abbracciato i Klabautamann in circostanze alquanto fortuite.

Un file rar trovato per caso e scaricato da non so chi nell'hard disk, un monicker bizzarro da freestyler delle prealpi bavaresi ed una foto che circolava in rete, nella quale i membri erano in posa con il sorriso stampato sul volto sotto un ombrello colorato (verosimilmente da donna). Alla faccia del face-painting e dell'iconografie blasfeme. Risultato? Simpatia a pelle.

''Merkur'', opera terzogenita risalente a 24 mesi fa, non è uno di quei lavori che ti si stampano immediatamente nella testa o che sei in grado di valutare ed apprezzare fin dai primi attimi: partendo da una pallida piattaforma Black Metal, l'act teutonico edifica il proprio sound basandosi sui venerabili precetti degli ultimi Enslaved (quelli di ''Vertebrae'' o ''Isa'', per capirci) ed attraverso le deliranti intuizioni dei Fleurety di ''Department of Apocalyptic Affairs''. Un connubio di stili e di ritmiche che spiazza completamente per la sua solennità, sviluppandosi ora in sincopi Jazz/Fusion ora in ampi scorci strumentali dal retrogusto Folk, in cui le chitarre acustiche strizzano spesso l'occhio al Blues ed al suo mood desolato; tutto nello spazio di ogni singola canzone.

Ciò che ne scaturisce sono continue sensazioni di estro, disinvoltura, forse genio, sicuramente personalità. Da lasciar senza fiato.

Eterogenei, versatili e aperti a soluzioni stilistiche che eludono dal canonico concetto di Black, ma non per questo succubi di compromessi, i Klabautamann sanno creare un caleidoscopio di umori assai raffinato, intrigante ed alternativo ai classici cliché legati al gelido e violento orientamento che la frotta di nuovi ''old schooler'' ci appioppa oggigiorno (raramente con risultati incoraggianti all'acquisto), per merito, altresì, di un timbro vocale che corrode come la carta vetrata su una ferita aperta.

Come detto, sono indispensabili ripetuti ascolti per assimilare un prodotto come questo ''Merkur'' (date un ascolto alla parte finale della title-track e poi se ne riparla). Le accelerazioni Black ovviamente non mancano (''When I Long for Life'' ed in particolare ''Herbsthauch''), con screaming sinistri e chitarre pungenti lanciate a grande velocità che sanno come spargere nell'aria un pò di sana cattiveria; tutto però è sempre molto ponderato e razionale (anche grazie ad una produzione pulita di buon livello), come imprigionato in strutture che prevedono sempre una pausa riflessiva e non concedono granchè alla furia cieca del Verbo Nero più primitivo (''Morn of Solace'' e ''Lurker in the Moonlight'' esempi più indicativi). La sagacia del gruppo nell'esulare da territori prettamente Black è poi celebrata nello splendido finale acustico di ''Noatun'', con un elegante pianoforte a giocare sui suadenti panorami notturni che paiono rievocare un'ammaliante scenario lunare.  

Dinamico e sperimentale senza mai sfociare nel cervellotico fine a se stesso, ''Merkur'' è un piccolo, consigliatissimo gioiellino, l'esplosione della purezza compositiva del binomio teutonico dopo le buone sensazioni che ci avevano offerto col debutto ''Der Ort''. Se siete alla ricerca di musica cerebrale, empirica e non scontata (il paragone coi Dodheimsgard nasce spontaneo), questa proposta crucca farà al caso vostro; per tutti gli altri un'ottima occasione per avvicinarsi ad una forma evolutiva del genere quanto mai seducente. 

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