Il decennio "digitale" di Klaus Schulze si apre nel 1980 con "Dig It" (piuttosto raggelante, il gioco di parole...) e prosegue, tra neologismi e altri giochi di parole, fino a "En=Trance" del 1988, che segnala l'ingresso in una nuova fase: quella segnata dall'uso massiccio di campionamenti che caratterizzano la sua musica nel decennio successivo, gli anni '90.
Alcune caratteristiche rendono "En=Trance" un album particolare nella discografia del tedesco: innanzitutto la presenza di quattro brani di media durata (intorno ai 17 minuti); la loro compattezza - per certi aspetti la loro intercambiabilità - che fa di questo lavoro un polittico elettronico che presenta quasi una stessa immagine vista da quattro angolazioni diverse; infine, l'insistenza sul concetto di trance, esplicitata attraverso il gioco di parole nel titolo (che ne ricorda un altro simile, quello dell'album "Trancefer" del 1981).
I quattro brani di questo lavoro hanno ciascuno un'introduzione, dai 2 ai 6 minuti, che lascia poi spazio a qualche accordo: la base armonica che cambia di tanto in tanto e su cui si sovrappongono meditative linee melodiche. Il consueto stile di Schulze, insomma, se non per il fatto che il denso tessuto musicale è volutamente indifferenziato, i timbri vengono richiamati a intervalli come in un'allucinata rassegna, il beat discreto ma insistente è l'ossatura di tempi sempre piuttosto sostenuti... e il tutto si traduce in una musica ripetitiva, per quanto fatta di microvariazioni, che ritorna sempre su stessa.
Così nella title-track in apertura, così negli altri brani: "a-Numerique", "Fm Delight", "Velvet System". Titoli in sé affascinanti, ma se di "En=Trance" va apprezzata la solidità complessiva non si può tacere del fatto che qui è carente l'emozione autentica, il trasporto che caratterizzava tanti lavori degli anni '70. Qui Schulze sembra ancora più austero e distaccato, sembra aver guadagnato nel controllo dei mezzi espressivi perdendo però in autenticità e spontaneità.
Si può essere spontanei facendo musica elettronica? L'enigmatico personaggio dell'immagine di copertina non risponde a questa domanda. Egli entra discreto nella dimensione sonora offerta da questo disco, come è invitato a fare chi non dovesse conoscere questa musica: Schulze non ai suoi livelli più alti, ma comunque a uno snodo interessante del suo lungo percorso.
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