Questo è il terzo album di Klaus Schulze in ordine cronologico di registrazione (autunno 1973) ma il quarto in ordine di uscita: per ragioni contrattuali fu preceduto infatti da "Blackdance" (maggio 1974) e venne pubblicato nel gennaio 1975 (ripubblicato in seguito su cd con bonus track e copertina diversa). Il principe solitario dell'elettronica tedesca ci regala un altro riuscito lavoro, che riesce a emanciparsi dalla granitica e inscalfibile compattezza dei primi due album, "Irrlicht" e "Cyborg", per assumere un tono più arioso, per certi aspetti meno ostico all'ascolto.

Come accade quasi sempre nei dischi di Schulze, almeno quelli degli anni '70, anche "Picture Music" è costituito da due lunghi brani: apre "Totem", oltre 23 minuti che presentano la stessa immagine sonora: il pulsare di un synth - usato in funzione ritmico-percussiva - in primo piano, più un tappeto melodico sottostante, cioè le sonorità di due o tre tastiere che disegnano delicati arabeschi melodici intrecciandosi tra loro, emergendo brevemente per poi scomparire di nuovo sullo sfondo. Siamo nel 1973 ma sembra ambient music ante litteram, gli Autechre arriveranno vent'anni dopo ma qui pare già di scorgerli in lontananza.

Il secondo brano è "Mental Door", altri 23 minuti di musica, in questo caso più animata e mossa rispetto a "Totem". Affascinante il dialogo tra la batteria (per un terzo del brano quasi solo piatti, per un terzo quasi solo tom) e gli assoli alle tastiere, assoli così lunghi che più che essere il culmine virtuosistico della composizione ne diventano un elemento strutturale, quasi un'armatura che attraversa in senso orizzontale la musica e la tiene assieme.

A distanza di tanti anni questa è una musica che conserva intatto il suo fascino, lo sfondo di un'immagine mentale che sta all'ascoltatore tratteggiare. E, se ascoltato di notte, quando è sceso il buio e sono calati i rumori, questo disco ci rende agevole il compito.

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