Tra i più industrializzati della scena EBM, i Klinik hanno avuto il merito dell'aver inventato un suono unico, riconoscibile e innovativo; un delirio di freddi sintetizzatori wave, rumoristiche allucinogene e ritmiche primitive dietro cui il cerimoniere Dirk Ivens si dimena con maestria nel suo canto ossesso, maschio, macabro e paranoico, che sembra quasi un mix tra John Balance e Jean-Luc De Meyer.
"Plague" (1987) è il loro apice, sia produttivo che tematico. Lontano dai clichè di fine ottanta (l'EBM belga/canadese targata Front242, Front Line Assembly, Skinny Puppy, Vomito Negro impera e molti salgono sul carrozzone) la musica dei Klinik sembra avvicinarsi più ad un estetica esoterico-post-industriale di chiara matrice inglese, e lo fa tramite un viaggio nei meantri più profondi della psiche umana, nelle sue turbe più nascoste. Follia, ansia, panico, insanità. Non c'è spazio per menate concettuali, darkwave di bassa lega o pose ritual-nichiliste, il suono di Plague è il suono delle piaghe del nuovo secolo, quelle mentali.
Se da un lato il dancereccio ritmo wave e quelle bassline cosi funky di "World Domination" fanno pensare all'ennesimo disco-fotocopia made in Belgium, dall'altro i rumori disturbanti, i synth ossessi, il drumming sbilenco e il cantato da malato mentale di Dirk ci fa capire che questo non è affatto un disco sano o ordinario. "Murder", breve quanto intensa, è il capolavoro: vertiginose tessiture di synth e drum machine tesissime rappresentano terreno fertile per il vocal freddo, distaccato e minimale di un Ivens che stavolta sembra omaggiare il leggendario Gabi Delgado; davvero incredibile la distanza tra questo Ivens e quello piacione e newromantico dello storico progetto Absolute Body Control. "End Of The Line" e "Plague" ne seguono la scia, la prima presentandosi ancora più nevrotica e con reminescenze della minimal wave tedesca, la seconda dispensando bassi vorticosi, droni disumani e grigiume rumoristico. Su "No Time To Win" l'atmosfera è, se possibile, ancora più tetra e deviante, aiutano non poco l'incessante ritmo marziale, il trademark di synth sali-scendi e l'indecifrabile monologo che scorre, impercettibile, nello sfondo, a mò di drone (chi ha detto Steven Stapleton?).
"Outside" e "Into Deep Water" sono il suono del Belgio al suo meglio, pura analogia sintetica, drum machine d'annata e un aria borderline nel suo essere sfacciatamente accessibile senza però mai venir meno ad un certo machismo, un certo grezzume cosiccome un certo lo-fi casareccio, più o meno evidente, che sfocia nella sperimentazione più genuina e che meglio di ogni altra cosa riesce a fotografare questa ormai lontana e mai troppo celebrata realtà. Un piglio quasi electro nel riff ossessivo e futuristico appare su "Pictures", dove Marc Verhaeghen, di nuovo, mostra abilità non comuni nel suo tessere strati di synth tetri, melodie schizoidi e frustate rumoristiche subdole e ambigue, degne dei primi Throbbing Gristle.
Solo rispetto per i Klinik, alfieri di un EBM pura e incontaminata, e non è poco in un movimento ben presto infetto dall'accessibilità del futurepop, dalle pose harsh e da quella passione, tutta rock, dell'apparire a tutti i costi, del leader carismatico, dell'immagine prima di tutto. Gli anonimi e asettici Klinik rimarranno così dietro le quinte, tra scioglimenti, riunioni, dischi solisti e side-projects, regalandoci flop clamorosi cosiccome grandiosi esperimenti dove, oltre al trademark di electronic body music sporca, plumbea e ossessiva, oseranno con terze realtà, quali ambient o techno (doveroso citare il sottovalutato "Akhet", ritorno come Klinik - sebbene opera del solo Verhaeghen - uscito nel 2003 per Hands Production, ovvero una delle label più avanti in tema industriale, nonchè tra i massimi promotori di neomovimenti underground quali technoid o powernoise).
Genre: Electronic
Style: EBM, Industrial, Experimental
Label: Antler Records
Year: 1987
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