Il progetto musicale curato dal torinese Carlo Ponte ha avuto più nomi e più fasi, con alterne fortune. La fase sicuramente più prolifica e interessante è quella denominata Kluster Cold, che ha visto la pubblicazione di due o tre cd di buon spessore, purtroppo distribuiti in economia e con le solite difficoltà che gli outsider devono affrontare sul mercato nazionale.

"The first halogenous lights" è una raccolta di una decina di brani che spaziano dal synthpop più tradizionale all'ambient con venature dark, incentrati su solide linee di drum-machine e tastiere prevalentemente analogiche. Il fascino dell'elettronica vintage sembra aver stregato Ponte, il quale riveste le sue produzioni di immagini che fanno tanto Kraftwerk periodo "Radioactivity"; e questo si riversa nella sua musica con una simpatica voglia di citazioni e di suggestioni malinconiche della primissima new wave elettronica.

Questo cd, pubblicato in poche centinaia di copie, è senz'altro il suo lavoro più godibile e significativo, non fosse altro perchè racchiude in meno di un'ora tutto il Ponte-Pensiero e lo restituisce in una veste immediata all'ascolto e non per questo poco profonda emotivamente. Già dal brano di apertura "Requiem" si ha infatti la sensazione di percorrere spazi cosmici o di volare al tramonto sopra lande desolate di mondi sconosciuti. Più che un requiem in chiave gotica, una specie di evocazione misteriosa in chiave siderale. Bei suoni, mai arzigogolati, rendono l'atmosfera tangibile benchè impalpabile, con cori sintetici molto bassi che celebrano la fine di un'era ormai perduta tra i ricordi.

Quindi una manciata di pezzi più danzerecci, che richiamano band come gli Xymox, ma anche certi arabeschi dei This Mortal Coil. Bassline e batteria a farla da padrone e una vena melodica che se a tratti appare un po' ingenua, si irrobustisce con le ottime sonorità elettroniche e con soluzioni di arrangiamenti non banali. Tra l'altro in alcuni pezzi c'è lo zampino produttivo di artisti amici come Daniele Magarelli (già con i Runes Order) e l'alchimista Deca. Proprio da questi brani emerge una corposità intrigante che ammalia i cultori del tecnopop d'annata con percussivi bassi analogici e melodie che bucano subito. "Chrome Chromosome" e "Metra-life" i titoli da segnalare.

L'album prosegue dunque fino alle sincopate note di "In His Whimper Rain", ballata tecnologica che sembra sempre sull'orlo del fuoritempo e in realtà è talmente singhiozzante da trarre in inganno. Sicuramente originale nel suo svolgimento ritmico, anche se non per tutti i palati. A chiudere una specie di esperimento basato sul suono di un vecchio telefono e sull'ipnotica formulazione di una voce che perde i suoi connotati umani: qui i richiami vanno dagli Yazoo ai soliti Kraftwerk, anche se Carlo Ponte sembra tendere alla risoluzione di un conflitto tra tecnologia e pensiero che non trova sbocchi, se non in una enigmatica rappresentazione del progresso e delle sue contraddizioni.

Kluster Cold firma qui il suo capitolo più riuscito, a tratti ripetitivo e forse penalizzato dall'assenza di un cantato; che se da una parte avrebbe banalizzato alcuni pezzi, dall'altra li avrebbe collocati meglio in un contesto culturale ancora di gran moda.

Un buon disco di synthpop nostrano, comunque, che si pone nella media del genere e lascia qualche traccia memorabile di emozioni sottili e in costante penombra.

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