Adesso qualcosa di nuovo, qualcosa che non avete mai sentito prima.
Siamo oramai assuefatti all'anglo-centrismo musicale, a dominare le scene sono per lo più gruppi inglesi ed americani, con qualche eccezione per gli islandesi, i giamaicani e pochi altri. Noi italiani ci accontentiamo delle briciole. E paesi fuori dalla nostra ottica e cultura come l'Africa e l'Asia vengono utilizzati soltanto come passatempo: ogni tanto si tira fuori dal cilindro magico un gruppetto a cui concedere un poco di successo, ma è quasi sempre uno specchietto per le allodole; falsi cantanti tradizionali che vengono montati e sistemati attraverso la lente deformante delle major.
Il discorso è diverso per i Konono N°1, collettivo congolese attivo da più di venticinque anni scoperto dal produttore belga Vincent Kennis. Il gruppo è guidato da Mingiedi, virtuoso del likembé (classico lamellofono africano), e nasce seguendo le orme delle orchestre tradizionali che accompagnavano riti e manifestazioni religiose sempre in bilico tra l‘atavico e l'apotropaico.
Con il conseguente spostamento della popolazione dalle campagne ai centri urbani, i Konono dovettero adeguarsi a nuovi standard acustici amplificando artigianalmente (con vecchi magneti di automobili ed altri pezzi simili, oramai destinati alla rottamazione) i tre likembé (basso, medio e acuto) ed aggiungendo alle percussioni standard altre ricavate da scarti industriali e meccanici. Questa trasformazione ha comportato un radicale mutamento della loro proposta, avvicinandola ad un'estetica più affascinante per le orecchie di noi occidentali: il loro sound è andato definendosi, assomigliando sempre più a certo rock industriale ed a forme di elettronica estreme e visionarie.
Lufuala Ndonga è la traccia che ci accoglie appena facciamo partire il disco: un suono trascinante e un groove sfinente ci accompagnano in una danza primordiale e coinvolgente, esemplare transgenico di electro-trance per la savana. Un'atmosfera umida e calda, percussioni regolari ed irresistibili guidano Masikulo; mentre Kule Kule poggia su un'architettura quasi minimal.
L'album continua su queste linee guida, sempre confusionarie e stordenti spesso impreziosite dalle voci festanti dei musicisti: c'è da perdere la testa se ci lascia andare all'enorme groove di questa musica. Uno scorcio d'Africa orgiastico e psicotropo: il Miles Davis più psichedelico unito ad un'elettronica analogica completamente inedita, futurista nel suo espandersi attraverso un sound-system dotato di grandi megafoni di epoca coloniale.
Insomma qualcosa che non avete mai sentito prima. Scopritelo.
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