"Sono undici anni che i KoRn non compongono un album metal, che possa definirsi tale e questa volta è arrivato il momento, anche per i più tenaci, di perdere le speranze"


Il prossimo 13 luglio migliaia di fans si sveglieranno la mattina con un sorriso ed una consapevolezza: è uscito "KoRn III". Si alzeranno di buon umore, attenderanno impazientemente l'orario di apertura dei negozi di dischi e quando arriverà l'ora si recheranno felici e contenti dal venditore più vicino, magari anche indossando una maglietta del gruppo.

Io sono fan dei KoRn ed ho paura del futuro. Ho paura perchè so che il prossimo 13 luglio molti fan rimarranno delusi. Per coloro che sono riusciti a provare dei fremiti persino con le cacofonie di "Untouchables", "Take A Look In The Mirror" e "Untitled" saranno soldi ben spesi; ma per tutti gli altri uditi più fini (figli dei primi due (capo)lavori) sarà l'ennesima delusione. Sono undici anni che i KoRn non compongono un album metal che possa definirsi tale e questa volta è arrivato il momento, anche per i più tenaci, di perdere le speranze. Come ha rivelato lo stesso chitarrista poco più di un mese fa è da ormai troppo tempo che si sta consolidando la prostituzione del gruppo alle case discografiche, mascherando il tutto sotto una continua (e sempre più dubbia) "maturazione" artistica. Peccato che nell'ultimo decennio l'unica cosa che sembra essere maturata all'interno della band sono solo i baffetti di Davis, che compaiono e scompaiono di video in video. Ecco perchè quando, durante un intervista, gli affictionados hanno sentito proprio il leggendario cantante affermare la volontà di ritornare ai sound primordiali del quintetto, non hanno potuto trattenere un grido di gioia...inconsapevoli che era fiato sprecato.

Più che di "KoRn III" si parlà qui di un "Take A Look In The Mirror II", il che è grave: siamo così arrivati al tanto temuto punto zero. Il gruppo avrà anche detto di "no" al successo commerciale questa volta, ma è talmente assuefatto, talmente pregno della mentalità capitalista da non riuscire ad emergere dal buco nero in cui si è buttato di peso anni prima. Le canzoni si somigliano un pò tutte: buone intuizioni, riff a volte interessanti, ma il tutto rovinato da una scelta dei ritornelli pigra e da una negligenza totale da parte di Davis nella composizione vocale. Non si può che rimanere effettivamente soddisfatti dallo stile canoro utilizzato dal front-man, che questa volta ricomincia a mettere del suo quando canta, smettendo finalmente di alimentarsi da quel fantasma sbiadito, raffigurante se stesso ai tempi d'oro, emulato ogni volta con una sfacciataggine che quasi rasentava la caricatura. Ma ciò che manca completamente al Davis di "KoRn III" è l'invettiva. Le strofe sono composte in maniera completamente sconclusionata e appaiono come il risultato di una svogliato lavoro di appena cinque minuti, basato soprattutto sulla copiatura dai capoalvori passati. Credo che mai in tutta la carriera della band si sia mai vista una tale mescolanza tra banalità e genialità. Genialità che però ha grandi difficoltà ad emergere e che riesce a venir fuori in effettivamente pochi brani (si contano su una mano sola), nei quali basso e chitarra, che in questa nona fatica del gruppo hanno fatto un ottimo lavoro, riescono miracolosamente a trovare un compromesso con il vocalist, che evidentemente, in quelle situazioni, era particolarmente in giornata.

Per quanto riguarda la strumentazione, una nota di merito va anche al nuovo batterista, Ray Luzier, che, pur non riuscendo a raggiungere Silveria nell'"Olimpo degli dei", fa comunque la sua buona figura, con un sound prepotente simile ad una cavalcata, che andando di pari passo col basso, è l'unico che riesce a dare un minimo di cattiveria ad un disco dalla dubbia natura metal. Non perchè effetivamente le sonorità non siano pesanti, anzi, sono anche molto sentite, ma va da subito messa in dubbio la loro appropiatezza. Personalmente ritengo che dopo due album come "See You On The Other Side" e "Untitled", che nel bene e nel male sono il prodotto di una mentalità più tendente al melodico, sarebbe stato meglio per il gruppo azzardare un "Issues II". Il salto è stato dunque troppo grande, sebbene questo "KoRn III" sia comunque superiore al "II" ("Untitled"), ma non è che ci volesse tanto. Detto questo passiamo ai brani.

Persino il più distratto degli ascoltatori si sarà accorto, al nono album in studio, di una certa attrazione da parte della band californiana verso le intro e gli interludi; questo album non è da meno. "Uber-time" non sarà un pezzo da mp3 come "Twist" o "4U", ma si presenta come un'interessante traccia d'introduzione, che fa provare allo spettatore fascino, curiosità ed anchè una sorta di cupo mistero nei confronti del disco. Ma sono sentimenti che purtoppo si propagano solo fino all'ultimo secondo della prima vera traccia. "Oildale" è infatti uno dei cavalli di battaglia del disco, che, sebbene sia stato definito dalla critica un metal "old-school-KoRn", possiede una personalità sua, mai espressa prima in nessun altra opera del gruppo. Si avverte qui una disperazione controllata, pacata, che esplode solo nel ritornello ("Why don't you just leave me alone?...") facendo trasparire anche una potente rabbia repressa: Jonathan Davis è tornato? No. Si viene catapultati, da questo punto in poi in un altro album, che non ha niente a che vedere con quanto sentito fino a questo momento e che, come già detto prima, lascia molto desiderare. Non si sa cosa volesse dimostrare Davis con "Pop A Pill", ma risulta evidente come sia proprio la sua partecipazione al brano a rovinare il tutto. Gli unici momenti apprezzabili sono quando si mette a scopiazzare qua e là da "Life Is Peachy" e dal precedente omonimo, ma ciò fa ancora più rabbia: tecnicamente il cantante non avrebbe perso il "tocco magico", ma si ostina a tenerlo nascosto, quasi come se avesse paura di riutilizzarlo per creare qualcosa di veramente suo. "Fear Is A Place To Live" risulta un'ulteriore degenerazione della traccia appena finita e pertanto va saltata a piè pari. In "Move On" invece la bilancia che regola la mediocrità e la validità pende leggermente a favore della seconda, ma non abbastanza per dedicare un minimo di considerazione alla canzone. Notevole il riff, che ricorda in qualche modo i "Tool", sebbene molto vagamente, e apprezzabile anche lo sforzo di Davis, che se non altro sembra essersi divertito nella composizione del pezzo. "Lead the Parade" invece sembra il prodotto di una gita in campagna con Marilyn Manson. Le parti di basso e chitarra sono addirittura memorabili, ma nel complessivo neanchè qui si riesce a smettere di storcere il naso, cosa tuttavia finalmente fattibile con "Let The Guilt Go". Sebbene si parli di un brano molto meno pretenzioso del precedente e ridicolamente ingenuo, è quello che finora, escludendo "Oildale", riesce più a farsi accettare per quello che è, senza passare per una serie di alti e bassi che rovinano la totalità del tutto ottenendo quindi il primato per uniformità. Semplice e sfacciato.

Come in un climax ascendente, si arriva finalmente ad un altra canzone notevole del disco. Se tutta la track-list di "KoRn III" avesse seguito la riga di "The Past", probabilmente l'album sarebbe riuscito a strapparmi un sette pieno. Usando un pessimo gioco di parole, "The Past" rappresenta il futuro, rispecchia l'essenza pura, lo spirito che hanno acquisito i KoRn del 2010. E' come se per un momento il gruppo si fosse liberato dall'ossessione di fare un album "filo-esordio" e si fosse dedicato alla composizione di un pezzo sincero, che mostrasse veramente cosa passasse per la testa dei cinque in quel momento. Ecco perchè sebbene sia tra le tracce meno "furiose" e strutturalmente tra le meno minimali (com'era nella natura della band nei lontani anni novanta) è quella che più convince e strega. Se i KoRn riuscissero a lasciarsi andare, assisteremmo a qualcosa di nuovo e molto valido. Ma purtroppo l'ispirazione se va con la stessa velocità con cui è arrivata e ci troviamo di fronte a "Never Around", un pezzo talmente riempitivo che neanche su "Take A Look In The Mirror" troverebbe spazio. "Are You Ready To Live?", da alcuni conosciuta come "My Time" è il capolavoro dell'album. Unico pezzo che da un senso logico al titolo "KoRn III" si mostra come il naturale conseguimento delle sonorità di "Life Is Peachy", come ciò che avremmo tutti voluto sentire su "Follow The Leader" per renderlo credibile. Si torna perciò a sperimentare, a sviluppare nuove frontiere canore ed a trovare nuove mescolanze funzionanti tra melodia e potenza. Questo era il quarto ed ultimo pezzo apprezzabile di un album di UNDICI tracce. Rimane infatti solo "Holding All These Lies", una sorta di ballad molto discutibile, posta in un momento del disco quando ormai è passata anche la voglia di discutere. Tanto vale premere il tasto "stop". Ma cosa parlo a fare, tanto tutta la critica innalzera questo maldestro tentativo di rivalsa come un capolavoro ("Metal Hammer" in primis) e i fans, quelli veri, ingenuamente si convinceranno di ciò che leggeranno, andando a sprecare venti euro su un prodotto che ne vale appena cinque.

L'unica speranza la confido in Christigau, che in questi ultimi anni si è dimostrato l'unico, forse a volte insieme con quelli di "Pichfork", a saper distinguere una buona opera da un flop totale. Perciò prima di avventarvi sui negozi di dischi, ascoltate attentamente le tracce su Youtube. Tolgo mezzo voto al giudizio finale per rabbia: avrebbe potuto essere un grande ritorno, ma è stato rovinato da delle scelte che persino un ragazzino ai primi ascolti con gli "Iron Maiden" avrebbe saputo evitare. L'album si intitola "ricordati chi sei", ma i KoRn hanno dimostrato che di cio che erano hanno solo una sbiadita memoria.

Voto: 4 1/2

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