Brulli altipiani ornati da sporadici arbusti spinosi, isolati gruppi di acacie e spoglie palme da dattero.

Impetuoso soffia il sammun, vento infuocato, asciutto, rovente su argillose conche incrostate di formazioni saline e gessose.

L'aria è impregnata, gravida di sabbia, il sole è cocente.

La terra nuda, desertica.

Questo, il selvaggio, primordiale paesaggio evocato meravigliosamente da "Kraan", brillante debutto della omonima band "teutonica".

Siamo nel 1972.

L'amalgama sonoro è tribale, primitivo, pregno di un jazz-rock dal sapore fortemente mediterraneo, caratterizzato da spiccate contaminazioni esotiche e abbondantemente cesellato da lunghe incursioni fiatistiche (il sax alto è "fondamentale" in quest'album).

L'atmosfera è ovunque calda, afosa, notevolmente intrisa di sonorità orientali e di una totale libertà espressiva, peculiare della band stessa.

Incalzanti percussioni, bongoes, tamburi, sax alto e chitarra elettrica dialogano splendidamente, si rincorrono incessantemente, all'insegna di un free jazz selvaggio, in "Kraan Arabia", che già dal titolo mostra le spiccate influenze mediorientali tipiche del gruppo. Lo speziato "wall of sound" creato dal gruppo raggiunge però il suo parossismo in "Head", diciotto minuti di pura improvvisazione, fucina di sonorità variegate, policrome, caleidoscopiche; il suono è magmatico, incontenibile, violento acquazzone in queste polverose ed aride steppe, caratterizzato da impetuosi e martellanti picchi percussivi, pittoreschi "voli pindarici" di sax alto e irruenti scrosci chitarristici che introducono atmosfere dalla velata psichedelia.

In codesta primigenia "orgia sonora" spuntano anche gemme "mainstream" (M.C. Escher) dalle effimere parti vocali e dai brevi intermezzi organistici che coadiuvano uno splendido coacervo tra fiati e chitarra elettrica.Interessanti anche "Sarah's Ritt durch den Schwarzwald" e "Sarah auf der Gänzwies", rispettivamente brano d'apertura e di chiusura (sorta di "reprise") in cui si ravvisa una marcata dose di sperimentalismi sonori ed umori decisamente "elettrici"; il tutto sempre immerso in una densa coltre lisergica che ricorda i primi lavori degli Embryo.

Un inebriante viaggio nelle misteriose terre orientali.  Multiforme "babele" sonora.

Kraan, 1972.

Consigliato.

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