Il 1975 fu un anno decisivo per i Kraftwerk. Con l'ingresso del vibrafonista e percussionista Karl Bartos e la pubblicazione dell'album "Radioactivity" (il primo realizzato esclusivamente con strumenti elettronici), il gruppo tedesco assunse la sua fisionomia più duratura e fortunata.

A far da ponte tra questi due eventi ci fu un lungo tour in Europa e negli Stati Uniti, per sfruttare il successo di Autobahn, collaudare nuove apparecchiature, provare nuove composizioni (durante quei concerti vennero eseguite versioni embrionali di “Radioactivity” e “Showroom Dummies”, mentre alcuni passaggi di “Klingklang” sembrano anticipare “Transistor”) e verificare la coesione della nuova formazione.

A dispetto dell'artwork piuttosto dozzinale (la foto di copertina vede i quattro con le camicie rosse usate in The Man-Machine, uscito nel '78; tra i membri del gruppo viene citato Klaus Röder, che non prese parte a quel tour; gli ultimi due brani sono indicati con un titolo scorretto), la raccolta non ufficiale "Concert Classics" è una testimonianza fedele di quei concerti del 1975, dei quali sono riportati 4 lunghi brani molto significativi.

Le campane di una cattedrale, i primi versi del Faust declamati al vocoder con un organo da chiesa in sottofondo e un delicato arpeggio di pianoforte ci introducono nel mondo di “Kometenmelodie”, una progressione sonora che, tra lamenti di moog e ritmi sincopati, sembra evocare una corsa di androidi lungo autostrade cosmiche, sfumata in un'atmosfera sognante grazie al vibrafono di Bartos.

Dopo una lunga pausa per calibrare la loro complessa strumentazione, i Kraftwerk ci riportano sulla terra con una versione nervosa di “Autobahn”, molto giocata sulle percussioni e sui rumori campionati (rombi di motore e clacson), dando la sensazione di viaggiare all'infinito trasportati lungo il nastro d'asfalto grigio evocato nei pochi, essenziali, versi di questo brano.

La trance continua con le bolle sonore di “Klingklang”, dialogo minimalista tra sintetizzatori e vibrafono, con suggestioni orientaleggianti, che ritroviamo anche nella conclusiva “Tanzmusik”: una passeggiata mattutina (o Morgenspaziergang, come erroneamente riportato nella tracklist), in un giardino giapponese o in una radura della Foresta Nera: qui, il piano elettrico, le percussioni e il vibrafono tessono una delicata trama musicale nella quale si inserisce con discrezione il flauto di Florian Schneider.

In conclusione, "Concert Classics" mostra una formazione molto coesa, nella quale il nuovo arrivato Karl Bartos dimostra di essersi perfettamente integrato, dando anche un importante contributo personale al sound del gruppo (anche se di lì a poco avrebbe abbandonato il vibrafono, togliendo molto dell'atmosfera onirica che caratterizza questi brani, mantenuti anche nella scaletta dei concerti dell'anno successivo, ma con arrangiamenti molto più freddi e minimali): una fotografia fedele di un gruppo d'avanguardia che stava diventando un fenomeno di massa.

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