Giocando sul duplice riferimento alla radioattività elementale e alla radio come strumento di comunicazione, i teutonici Kraftwerk nel 1975 pubblicarono quello che a mio avviso resta il più fulgido esempio di sdoganamento dell'elettronica in musica e di perfetta fusione tra le icone del modernismo e le atmosfere del nuovo orizzonte della civiltà europea.
Tra antenne, contatori Geiger, onde corte ed onde medie, il progetto di Schneider e Hutter mise a segno un connubio di sperimentazione tecnica e massificazione concettuale che raramente si ritrova in quel decennio. Senza contare che l'influsso della titletrack sulla produzione musicale a venire è stato talmente forte da costituire uno dei casi di canzone più coverizzata nel tempo nell'ambito di molteplici generi musicali.
Geniale fin dal suo inizio, il disco è una celebrazione dalle sfumature futuriste e futuribili dell'ingegno umano, che si estrinseca già nell'operazione compiuta dai Kraftwerk stessi, avendo costruito con le loro mani la maggior parte degli strumenti utilizzati per le registrazioni. Il ticchettio crepitante di un contatore Geiger apre l'album per diventare regolare e trasformarsi automaticamente nel ritmo base del pezzo "Radioactivity", che è una delle canzoni più belle, emozionanti, evocative della storia della musica contemporanea. Su un tappeto di voci artificiali, intervallate dalle battiture di un telegrafo, le strofe in recitar-cantando visualizzano in modo lineare (ora in inglese, ora in tedesco) le scoperte dei coniugi Curie e le loro implicazioni nel destino degli uomini; senza alcun riferimento catastrofico e ambientale - come avvenne poi nella versione "cattiva" dei remix anni '90 - e con un'aura estremamente vintage.
A seguire una serie folgorante di pezzi che mettono in scena un teatro di ambienti mitteleuropei, di stazioni radio, di vaghe voci nell'etere e di divertissment electropop antesignani del synthpop britannico che avrebbe impiegato ancora cinque anni ad esprimersi. Bellissimo il brano "Antenna" preceduto dalla voce distorta di "The voice of energy" e percorso da fremiti elettronici vibranti e ritmi metallici che evocano sperimentazione e fantasia come in un romanzo di Wells o di Hugo Gernsback. A chiudere la malinconica "Ohm sweet ohm" che gioca sull'assonanza tra Ohm e Home e compie in crescendo la sua litania tecnologica come una celebrazione all'era del transistor e della comunicazione a distanza.
Io adoro questo album e credo rappresenti il primo vero exploit massivo dei Kraftwerk nonchè il consolidamento del loro marchio di fabbrica sonoro. Per molti ancora un po' impreciso e pieno di lungaggini: per me un manifesto irrinunciabile della cultura europea e dell'elettronica come aspetto inalienabile della nostra civiltà.
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