Vediamo di dire due parole in merito ad ognuno dei tre film, per poi tirare le somme su una trilogia della durata complessiva di quattro ore e mezza (niente in confronto al celebre Il Decalogo, comunque, della durata più che doppia) e sui singoli film.
Film Blu va ad indagare il tema della libertà attraverso la storia di una donna che ha perso marito e figlia in un incidente automobilistico. Unica superstite del disastro, tenta dapprima di suicidarsi, poi di eliminare dalla propria vita qualunque cosa possa ricordarle i cari deceduti. La cosa che fin da subito colpisce, a livello scenografico, è la prevalenza assoluta del colore blu, cosa che sarà poi ripetuta con i rispettivi colori anche in Film Rosso e, seppur in modo forse meno evidente, in Film Bianco (si potrebbe considerare il candido paesaggio spesso innevato della Polonia come un riferimento al colore in questione). Il tema del lutto pare regnare nella prima parte del film: come ci si riprende da un trauma come quello della protagonista Julie? Svariate scene struggenti, dal fortissimo e spesso cruento connotato emotivo, si susseguono quasi senza tregua e ci rendono partecipi del suo dolore. Veniamo a sapere che il marito era uno dei più eminenti compositori viventi. La sua opera magna, lasciata incompleta, viene dapprima distrutta dalla moglie, ma poi rinvenuta da terzi e fatta completare. Un intreccio ben congegnato su cui non è lecito soffermarsi in questa sede si snoda fino all'epilogo, che vedrà Julie fare i conti con le possibilità del vivere: la Libertà di amare e odiare, di decidere come orientare i propri sentimenti, di fare del bene per gli altri anche quando questi non dovrebbero aspettarselo. Ma è anche la Libertà di ripartire con una nuova vita e di sorridere dopo essersi lasciati il passato alle spalle. Dal punto di vista della regia, Film Blu è forse il più interessante della trilogia. Il film esordisce quasi subito con un dettaglio dell'occhio della protagonista, dal quale possiamo facilmente seguire un uomo che le sta parlando e di cui sentiamo chiaramente la voce. Più avanti, ad esempio, un primissimo piano di una zolletta di zucchero che si imbeve di caffè, sta a rappresentare la volontà della protagonista di chiudersi nel proprio mondo, a sua volta ristretto dalle sue stesse mani. Ricorrente è anche l'uso di un breve intermezzo musicale volto a sottolineare alcuni momenti shock del film, che portano in genere ad una dissolvenza in nero che ritorna immediatamente al film al termine della musica. Interessanti sono anche le sezioni incentrate sulla musica, il cui spartito viene mostrato su schermo in modo da poterne seguire l'andamento, ma ancora meglio è la scena in cui Julie e l'ex-collega del marito discutono dell'arrangiamento della sinfonia incompiuta del marito, con relativa modifica in tempo reale della colonna sonora. La visionaria sequenza finale è solo uno dei picchi estetici raggiunti dal film, che è forte anche di un'eccellente interpretazione dell'attrice protagonista Juliette Binoche e una pur ottima prestazione di tutti gli attori.
Film Bianco è probabilmente un passo avanti sul piano dell'intreccio, magistralmente orchestrato anche se a tratti poco verosimile, una virata di tono generale e forse un passo indietro però sul lato contenutistico ed emotivo. Si tratta dell'unico film il cui il vero protagonista è un uomo, Karol, un polacco abbandonato dalla moglie perché impotente, che lascia la Francia tornando in patria rinchiuso in una valigia e da lì costruisce il suo impero finanziario giorno dopo giorno col fine di rivedere la moglie (o forse no), che ancora ama. La donna, Dominique, compare in relativamente poche scene e si caratterizza subito come un personaggio incredibilmente acido e diabolico, per poi rivelare anche un lato nascosto alla fine del film. Il personaggio di lei parla solo in francese, al punto che spesso il film è sottotitolato. All'inizio del film è possibile notare la comparsa della Julie di Film Blu nella scena del tribunale, a dimostrare la convivenza su diversi piani di storie diverse nello stesso luogo. In fondo, si tratta di storie di persone comuni, analizzate con l'ottica documentaristica tipica di Kieslowski, ma che hanno lo stesso peso e sono, in qualche misura, interdipendenti. Come si accennava in precedenza, sono i toni del film quelli che maggiormente mutano in questo titolo: la personalità bizzarra e sciagurata di Karol dà spesso un tratto quasi comico all'opera, mentre le quasi assurde macchinazioni dello stesso non fanno che accentuare tale aspetto di assurdità comica. Il risultato, ad ogni modo, dona una maggiore varietà suggestiva alla trilogia, altrimenti sempre dai toni piuttosto drammatici. Tali toni, comunque non mancano a quella che, in fondo, è una storia a sfondo più che serio, e capace di toccare l'animo non meno delle altre. Ottime sono anche in questo caso le interpretazioni, tuttavia le scelte di regia sono in generale più tradizionali, misurate e non particolarmente attraenti per l'occhio o per la mente. Meno definito è anche il modo in cui l'Uguaglianza, valore rappresentato dal colore bianco, si insinua nella dinamica filmica. Si tratta certamente di un film con una spiccata presenza del tema della scalata sociale – con un protagonista che passa dal raccogliere due franchi suonando nella metropolitana di Parigi ad essere un ricchissimo imprenditore – anche della vendetta in un certo senso, ma non in modo così esplicito o comunque privo di ambiguità. Non è impossibile identificare l'Uguaglianza in simili dinamiche, ma non è nemmeno del tutto credibile affermare che così debba essere. Si tratta insomma di un'opera senz'altro consigliabile, ma tutto sommato mediocre, specialmente se paragonata alle due che la circondano.
Film Rosso, infine, conclude in bellezza non solo la trilogia dei colori, ma anche l'intera carriera del regista, che morirà da lì a poco. La storia di Valentine è probabilmente, per qualche ragione, la più affascinante delle tre: l'eccezionale Irene Jacob (già protagonista de La doppia vita di Veronica) impersona la protagonista del racconto, che la vede alle prese con una serie di eventi che la porteranno a conoscere un giudice in pensione (interpretato magistralmente da Jean-Louis Trintignant) che si dimostrerà in principio scorbutico e cinico, per poi aprirsi gradualmente alla ragazza fino ad arrivare ad una forma di rapporto molto speciale. Anche in questo caso le scenografie sono prevalentemente dominate dal rosso, come del resto viene portata avanti la continuità con gli altri film mediante l'uso, anche in questo caso, della figura della vecchietta alle prese con il bidone dell'immondizia, presente in tutti i film. La colonna sonora, così come la regia, sono anche in questo caso curatissime. È il momento, quindi, di omaggiare l'operato di Zbignew Preiner nell'intera trilogia, che come al solito è a livelli eccellenti. Le (relativamente rare) volte in cui la colonna sonora spezza il silenzio dei film, sono sempre memorabili. Interessante è, in questo senso, notare anche le citazioni presenti nella trilogia in merito a Van Den Budenmayer, il compositore fittizio presente in La doppia vita di Veronica e citato più volte anche in queste opere in segno di continuità. Dal punto di vista dell'intreccio è interessante notare come fin dall'inizio vengano seguite più storie differenti, pur concentrandosi su quella di Valentine, andando a svelare gradualmente la ragione di tale scelta narrativa. Ottime sono anche le analisi psicologiche dei personaggi, specialmente in merito al vecchio giudice, il quale subisce peraltro un mutamento notevole e una grande caratterizzazione. Proprio lui darà anche adito ad alcune delle conversazioni più interessanti del film, come il problema della verità e della giustizia o l'obiettività di chi è chiamato a giudicare gli altri da una condizione esistenziale non superiore agli stessi. Infine, ancora una volta, viene ribadita l'interrelazione presente tra tutte le cose, non solo mediante l'emblematica scena finale, in cui compaiono tutte le protagoniste e i protagonisti dei tre film, ma anche mediante il racconto del passato del giudice, che si rivelerà affine alla vita di un giovane personaggio seguito per tutto il film. Così come in Film Blu, Kieslowski ha voluto dimostrare con una certa scena che persone diverse in luoghi diversi possono pensare la stessa cosa e comporre la stessa musica, in Film Rosso viene addirittura esemplificata la possibilità di persone diverse che vivono la stessa vita (tema, del resto, non molto distante da quello de La doppia vita di Veronica, ancora una volta). Infine, come entra la Fratellanza in questo discorso cinematografico? Semplicemente, si direbbe che il rapporto tra Valentine e il giudice esemplifichi a dovere tale valore: un forte amore fraterno nato dal caso e passato attraverso l'antipatia, la sfida, l'attrazione e l'intimità, per rimanere saldo nel tempo e volto unicamente al bene reciproco. Non è un caso, infatti, che il giudice guidi la ragazza verso la propria nuova e felice esistenza, insieme alla persona in cui egli stesso riconosce una sorta di proprio alter-ego, ma a cui vuole provare a destinare una vita migliore della propria.
Complessivamente, dunque, il giudizio su tale trilogia non può che essere positivo, con due titoli ottimi come Film Blu e Film Rosso, e una pur sempre gradevole e interessante pellicola come Film Bianco. Kieslowski chiude in bellezza la propria carriera con la quintessenza del proprio cinema crepuscolare, prosastico ma al contempo tinto di toni poetici e di intuizioni artistiche notevoli, capace di colpire tanto l'occhio quanto la mente, tanto l'udito quanto l'anima.
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