È il 1995 quando Crispian Mills e Alonza Bevan, fondatori dei "The Kays" (con due EP all'attivo) decidono che è ora di fare sul serio. Il viaggio in India di Mills aveva profondamente cambiato il suo approccio alla musica già con i Kays ma la psichedelia dalla quale attingeva a piene mani non aveva sinora prodotto nessun interesse da parte dei media.
Poi il cambio di nome in Kula Shaker e la pubblicazione di "K" che rappresentano uno dei più roboanti ingressi di un gruppo nel mondo del rock-pop di stampo britannico ch'io ricordi, superato forse solo da "Appetite for Distruction" dei Guns, ma in un ambiente completamente diverso. Alzi le mani chi non ha ballato almeno una volta al ritmo di "Tattva" o "Govinda"...

Il mix era perfetto: le influenze orientaleggianti del misticismo indiano, l'odore di incenso che spuntava da ogni pezzo, i richiami mirati alla musica "intoccabile" degli anni sessanta (piccoli innesti alla George Harrison, cerimoniali a Gerry Garcia dei Greatful Dead), una costante linea di chitarra funky semidistorta e la possibilità di essere intesa come musica colta pur se fondata da melodie tanto semplici quanto contagiose fanno ben presto breccia nel viziatissimo pubblico inglese prima e nel resto del mondo poi.

Poi la cover di Hush dei Purple e poi... il nulla sino al 1999, anno di pubblicazione di questo disco.
Una gestazione difficilissima e il solito problema del secondo disco. Potrei citarvi mille e poi mille gruppi che si sono smarriti nel momento di affrontare la prova del secondo album. Non lo farò perché altrimenti qualcuno potrebbe offendersi e mi arrivano già abbastanza mails con minacce di persecuzione dai fans che ho fatto inalberare.
Ma la realtà è che anche questo gruppo ha fallito miseramente la "prova della verità".

Il disco in verità comincia bene: "Great Hosannah", così vicina ai Blind Melon e "Mystical Machine Gun Man" sono pezzi rispettabilissimi che letteralmente fanno il "Kulo Shakerare" (perdonatemi il pessimo neologismo...), ma è quasi tutto qui. Non è sufficiente qualche suggestione indiana, qualche suono ben prodotto per camuffare persistenti manchevolezze strutturali, pur se in presenza di un discreto arrangiamento. Ecco, a volte l'arrangiamento è fin troppo presente, troppo pronunciato, a tal punto da compiere l'effetto contrario: piuttosto che camuffare le carenze di inventiva le riflette maggiormente.
"S.O.S." richiama i King Crimson e i Purple, ma Mill con tutto il rispetto, non è né Fripp né Blackmore. "Radhe Radhe" non è neppure propriamente una canzone se non un coretto di world music indiana, la successiva e brevissima "I'm Still Here" sembra un abbozzo alle lirica anni '70 di Lennon, ma se non riesci ad essere Fripp, figuriamoci provare a fare Lennon!
Un discreto momento con "Shower Your Love" ove risuona forte l'eco dei Beatles di "Revolver", seguita da "108 Battles (of the Mind)" che gode di buona freschezza e vitalità e poi il nulla più assoluto, altre 5 tracce più l'immancabile ghost song di totale inutilità.

L'impressione che ne scaturisce è che, come al solito, quando manca spontaneità nel proprio lavoro si finisce sempre per ricercare soluzioni cercando di pensare "alla Lennon" oppure "come farebbe Harrison piuttosto che Garcia". Ma se fatichi ad intenerire il preparatissimo e viziato pubblico inglese con la tua indipendenza e creatività non è certamente con l'appropriazione indebita delle altrui movenze che riuscirai a trattenere i fischi.
Infatti questo lavoro passerà quasi inosservato, frutto anche dell'errore di aver aspettato così tanto dall'uscita del precedente, e i Kula prima dello scioglimento si ritroveranno con la fastidiosa etichetta di "gruppo di culto", ovverosia un modo elegante per dire che il disco "ha fatto cagare"!

Avevo voglia di riascoltarlo dopo un paio d'anni per capire se ne avessi tratto una idea sbagliata ma, ve lo assicuro, non ero lontano dalla verità: il disco in questione è poco o niente e non giustifica ascolti ulteriori. Adesso lo tolgo: accidenti, dov'èquel disco del Bowie che avevo messo proprio lí sopra...

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