Kurt Elling, per coloro che non lo conoscessero, è uno dei migliori cantanti jazz in circolazione; un crooner che in tutti i suoi lavori, sono ormai ben otto, ha sempre dimostrato d'avere, oltre a delle non comuni doti vocali, una sensibilità e una cultura, non solo musicale, di primissimo livello. Oltre a ciò, bisogna aggiungere anche una versatilità, dal Sinatra-style al vocalese puro, che lo rendono uno degli interpreti più completi nel panorama musicale attuale, non solo jazz.
L'ultimo suo album intitolato "Nightmoves", il primo pubblicato per la Concordjazz dopo un lungo sodalizio per la rinomata Blue Note, conferma tutte queste doti; anzi le esalta, grazie anche alla felice scelta degli undici brani. Nell'album la duttilità dell'artista trova spazio e modo per esprimersi al meglio, con la solita, non comune attenzione nella creazione del suo repertorio. Nonostante la sua voce gli consentirebbe di valorizzare anche il famoso elenco del telefono, egli si è sempre contraddistinto per un'attenta e mai banale scelta dei brani da interpretare, soprattutto nelle sue non rare incursioni nel pop e nella musica leggera.
Proprio la title track, posta in apertura dell'album, conferma questa sua cura nel pescare al di fuori dei mari del jazz. "Nightmoves", infatti, è un brano del fine e non molto popolare cantautore, almeno dalle nostre parti, Michael Franks, tratto da uno dei suoi migliori lavori datato 1976, "Art of Tea". Certo, Kurt non ha dovuto "navigare" molto per portarlo alla luce, poiché Franks ha sempre seguito una rotta di confine e non ha mai fatto mistero dalla sua formazione jazz. Però l'idea di rispolverare il repertorio del cantautore californiano è davvero felice, dando nuovo lustro ad un brano già notevole ma che forse non era stato valorizzato a dovere dalla sottile e particolare voce del pur bravo Franks. Lo stesso discorso si potrebbe ripetere per l'altra cover, "Undun", presa in prestito dal songbook di una band rock canadese che ebbe il suo periodo di massimo fulgore tra la fine degli anni '60 e gli inizi dei '70, The Guess Who; anche se è maggiore la distanza dall'originale, ancora più evidente appare il valore aggiunto che Kurt riesce a dare a donare al brano. Splende di luce propria il medley Berlin-Jobim, "Change Partners / If You Never Come To Me", che Kurt "cuce" da par suo. Ci sono anche evergreen come "Tight" di Betty Carter e "I Like The Sunrise" di Duke Ellington con cui egli conferma di saperci fare anche con i canonici evergreen.
Coadiuvato a dovere da un manipolo di eccellenti session man, tra cui spicca il fido Laurence Hobgood al piano, Elling è riuscito con quest'album a fugare i dubbi di quanti avevano guardato con un certo scetticismo al suo divorzio da mamma-Blue Note. Tutto gira a dovere, con misura, senza strafare con i virtuosismi; e anche i brani originali, come "And We Will Fly", tra i cui autori compaiono anche lui insieme al il fine pianista Alan Pasqua, funzionano a meraviglia.Un album consigliato non solo agli appassionati di jazz, ma a tutti quelli che intendono la musica senza compartimenti stagni ed anche a coloro che ritengono, non a torto, la voce come il miglior strumento: in questo caso al servizio di un'anima di rara sensibilità.
Carico i commenti... con calma