L'ultravioletto è una radiazione elettromagnetica non percepibile dalla capacità visiva dell'uomo. Esiste, sta lì, ma noi non riusciamo a carpirla realmente. E' un po' ciò che accade nell'ultimo parto in casa Kylesa, band da sempre restia ad essere catalogata in un determinato genere. "Ultraviolet" è sfuggente molto più del solito, perchè è un lavoro che non si posiziona sulla falsariga dei precedenti.
Questi quattro musicisti della Georgia (Savannah) ci avevano abituati ad album cangianti e mutevoli, ma decisamente tirati sotto il punto di vista dell'aggressività. Si pensi a lavori quali "Time Will Fuse Its Worth" e "Static Tensions". Un determinato bagaglio artistico che chi ha imparato a conoscere i Kylesa si porta inevitabilmente dietro. Proprio questo passato posiziona sotto una nuova "luce" il nuovo lavoro: più arioso, più riflessivo ma allo stesso tempo quasi "meno ragionato". Il minutaggio dei pezzi inganna chi crede di trovarsi dinanzi alle solite mazzate sludge in cui si rincorrono riff abrasivi e dolomitici. I Kylesa di "Ultraviolet" sono sludge ma anche e soprattutto altro.
La cara Laura Pleasants insieme ai suoi tre amichetti ha creato ancora una volta un cd oscuro, ossuto, di difficile comprensione pur nella sua apparente semplicità. C'è da dire che i Kylesa hanno dimostrato nel corso degli anni di sapersi adattare a cambiamenti non sempre di notevole portata ma comunque forieri di variazioni stilistiche ben rintracciabili in ogni loro lavoro. "Ultraviolet" è la commistione di sludge, underground rock, del punk più becero e di inaspettate e lancinanti nenie psichedeliche. Prendete l'opener "Exhale" che pure è uno dei pezzi più diretti e lineari del cd: Cope e la Pleasants che si alternano dietro il microfono, chitarre distorte all'inverosimile e poi un'improvvisa apertura "space sludge". Introspezione profonda anche per "Unspoken", uno dei pezzi più riusciti del lotto con il suo inizio soffuso pronto ad esplodere in una colata lavica di proporzioni gigantesche stemperata solo da un cantato che ora è meno aggressivo e infernale di quanto ci si aspetterebbe. Caratteristiche simili anche per altri due pezzi notevoli quali "Long Gone" e "Steady Breakdown", dove all'affievolimento della ruvidità vocale si affiancano atmosfere stranianti.
Siamo di fronte ad un disco diverso, forse il più personale della carriera del combo statunitense. Una canzone come "Low Tide" difficilmente avrebbe trovato posto nel loro passato, con quel sound che sembra fare il verso ai Sonic Youth più intransigenti.
"Ultraviolet" è un'opera interessante di una realtà che all'interno del suo genere è riuscita ad aprirsi un varco importante. E' un passo avanti nella maturazione artistica della band, un tentativo di ricercare una personalità più volte contestata nel passato. Il rinnovato gusto per la melodia, la volontà di aprirsi ad uno sludge più accessibile ma che non dimentica le proprie radici, delle linee vocali che tendono ad armonizzarsi con partiture più "diluite". Tutti elementi caratterizzanti della nuova fatica. E' come se i Kylesa avessero improvvisamente deciso di depressurizzare il loro modo di fare musica per dare maggior respiro ad un songwriting che spesso era risultato aggrovigliato su se stesso, privo delle variazioni in grado di dare maggiore incisività alla loro proposta. Approccio più easy? Tendenze catchy? Negarlo sarebbe cozzare con la realtà, ma i Kylesa sembrano manipolare questo leggero "cambiamento" con una certa dose di personalità. Il risultato è "Ultraviolet".
1. "Exhale" (3:02)
2. "Unspoken" (4:48)
3. "Grounded" (3:15)
4. "We're Taking This" (2:42)
5. "Long Gone" (3:27)
6. "What Does It Take" (2:05)
7. "Steady Breakdown" (4:49)
8. "Low Tide" (3:36)
9. "Vulture's Landing" (3:16)
10. "Quicksand" (2:35)
11. "Drifting" (5:26)
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