Fino all'alba del nuovo millennio l'inebriante Kylie Minogue doveva ancora farne di strada prima di conquistare con il suo magico calderone di fascino, talento e tracimante sensualità i freddi cuori dell'oltre Commonwealth.

Se gli esordi in veste di neo maggiorenne erano andati più che bene e addirittura la funkissima Loco Motion aveva fatto breccia nel grigiore yankee, il decennio successivo al debutto omonimo rimase un po' fiacco e smorto a livello puramente commerciale; nemmeno l'arditissimo e strepitossimo passaggio dall'immagine teen di Rhythm Of Love e Let's Get To It all'era più adulta e matura di Kylie Minogue aveva fatto segnare grandi numeri. Eppure, la capacità di Kylie di reiventarsi, di esibire concretamente quel recondito surplus di energia e valore artistico, di mostrare al grande pubblico di non essere la classica meteorina australiana dell'intermezzo poppish fra una soap opera e l'altra era già stata dimostrata appieno: dapprima la succulenta frittura mista del già citato Kylie Minogue, poi il celebre duetto con Nick Cave Where The Wild Roses Grow (collaborazione particolarmente apprezzata anche dai più feroci detrattori del pop) ed infine quel gioiello bistrattamente dimenticato che fu Impossible Princess, un capolavoro di sperimentazione e coraggiosità artistico-sonora che seppe persino anticipare la leggendaria svolta elettro-mistica di Madonna in Ray Of Light. Impossible Princess, stroncato dalla coincidenza infausta della morte della principessa Diana e da una casa discografica - la Deconstruction - poco convinta del notevole potenziale dell'album e dell'artista medesima, provocò qualche blanda scintilla nell'asse Londra-Canberra, tuttavia brani splendidi come Say Hey, Dreams, Limbo, Breathe, Jump e Too Far furono relegati ad una ridottissima nicchia di mercato e di pubblico che ben presto li ripose nella naftalina degli ignoti capolavori.

La rinascita - almeno commerciale - di Miss Minogue giunse comunque con il più sempliciotto tuttavia godibie e frivolo Light Years, grazie ad una serie di singoli e di videoclip dedicati a erotomani e allupati (Spinning Around), al già fedele pubblico gay (Your Disco Needs You), ai club di inizio millennio (On A Night Like This) e agli allora favoritismi in chart degli elisabettiani (Kids, duetto con Robbie Williams). Una congiunzione particolarmente favorevole che naturalmente non poteva esaurirsi: ed è così che Kylie partorì l'erede dei succulenti sculettamenti di Spinning Around, ovvero Fever.

Prima di analizzare quello che si è rivelato il lavoro più lucroso della madrina per eccellenza del pop australiano desidero fare una premessa personalistica: Kylie ha fatto di meglio. Ha saputo andare oltre il classico stile disco-dance più affine alle charts del biennio 2000-2002, è riuscita a fornire un immagine di sé più ricca, sfaccettata, raffinata e colorita rispetto al quadretto della queen della pista da ballo e ha sfornato eccelse produzioni del calibro di X e Body Language di una semi perfezione pop così rata che poche egregie signore del mainstream sono state in grado di regalare ai rispettivi fan della prima e dell'ultima ora.

Fever, comunque, nella sua simpatica semplicità disco-pop rappresenta un degno disco della nostra Kylie: una bella manciata di brani che affondano nelle allora modaiole tendenze nu-disco (non posso esimermi dal menzionare la controparte inglese, ovvero Sophie Ellis-Bextor), proponendo un'atmosfera di intima allegria e di simpatica frivolezza anti-stress. Oltre alla celeberrima Can't Get You Out Of My Head (che persino il rocker più alternative e anti-mainstream sulla faccia della Terra conosce e canticchia fra un riff e un basso), incontrastato anthem alla robotica se(n)s(s)ualità da pista da ballo, occorre citare ll funky quasi fanciullesco della title track Fever, la nostalgia da post-balera di Come Into My World, la freschezza bionica di Give It To Me e di More More More, il connubio disco-instrumental di Burning Up, il vigore della starlette scatenata per l'altra hit In Your Eyes, il "nomen omen" della febbre del sabato sera Dancefloor ed infine il classico mix fra ipnotica femminilità e pop "fatto bene" in Love At First Sight.

Un nome, una garanzia: Kylie, piena dimostrazione che musica commerciale non significa solo tormentoni più letali della stricnina oppure eccentricità buona solo per riempire la terza pagina dei giornali. Qui siamo a livelli pop alti e puri. Ed anche se Fever non è ancora la punta dell'iceberg della bontà kyliana (vetta raggiunta con il quasi perfetto X), il piacere di gustare musica semplice e tuttavia "well-made" rimane ineccepibile e inconfutabile.

Kylie Minogue, Fever

More More More - Love At First Sight - Can't Get You Out Of My Head - Fever - Give It To Me - Fragile - Come Into My World - In Your Eyes - Dancefloor - Love Affair - Your Love - Burning Up

Carico i commenti...  con calma