“In quei tempi, scaturì il mal des ardents. Un numero incalcolabile di uomini e donne ebbero i corpi consumati da un fuoco invisibile, e da ogni parte i lamenti ricoprirono la terra.”

Ademar De Chabannes, un monaco francese, narra che nel X°secolo, un morbo repellente colpì alcuni villaggi di contadini seminando panico e delirio collettivo; presto si diffuse il sospetto che fossero forze oscure a infettare e tormentare gli esseri umani, che presto incolparono la stregoneria, il maleficio e la vessazione demoniaca. La realtà era molto più banale e di natura molto più materiale ed organica: si trattava in verità di un parassita della segale che faceva il suo “sporco” ed indifferente lavoro, in quell’occasione quindi il Demonio era innocente; la Natura aveva semplicemente agito secondo le sue regole, seminando però panico e alimentando superstizione e isteria collettiva, cosa che è viva anche ai nostri giorni, senza per forza andare nel Medioevo, ma qui entriamo in ambito sociologico e non è questa la recensione adatta.

L’album in questione trae dunque ispirazione dal sempiterno scontro tra razionale ed irrazionale, tra folklore e storia, verità e leggenda, elementi che possono talvolta urtarsi violentemente e generare pura e tremenda grandine. Musicalmente parlando i nomi dietro a questo progetto sono quelli di Yan Arexis e Patrick Lafforge degli Stille Volk, che del pagan-folk hanno fatto il loro vessillo da almeno due decenni. Qui il Medioevo più buio e occulto si fonde con l’ambient minimale e claustrofobica dei nostri giorni, ricreando scenari che riportano all’abbazia benedettina de “Il Nome della Rosa” (per fare un paragone popolare), dove i chiostri bagnati dall’umidità dell’inverno settentrionale incutono nell’uomo timore e senso di reverenza davanti a quelle “Forze Invisibili” cui l’umano desiderio cerca risposte da millenni, dando nomi e connotati per essere rassicurato. Le prime due tracce ci introducono nello spirito dei tempi cui il lavoro fa riferimento, l’uso di strumenti tradizionali come armonium, ghironde e anche semplici sfregamenti di pietre (come vedremo più avanti) tracciano il solco per introdurci piano nella lenta discesa verso la paura, verso l’assenza di logica, dove la scienza è ancora embrionale e gli antibiotici un miraggio, si passa quindi dalla “provenzale” traccia omonima alla successiva La Nef des Fous, dove una voce roca e opprimente ci introduce a quello che sta per palesarci davanti, in Apotres du Chaos sembra che un invasato passi dal salmodiare gregoriano ad un idioma babelico tipico degli ossessi. Froide Lune è terrificante nel suo avanzare quasi strisciando, si sentono lamenti simili a latrati secchi che si perdono in lontananza, strumenti a fiato rendono il tutto spettrale e la “luna fredda” del titolo sembra davvero sopra di noi… Eccoli, sassi, ciottoli, Enfers apre in questo modo, siamo ancora nel mezzo della selva dantesca, nessun Virgilio ci attende per guidarci, questo inferno è solitario, come in una stanza totalmente buia dove però ci arrivano suoni, lamenti gutturali, suoni ripetuti senza fine, ancora cori monastici ma ostili, confusi, al contrario, ricordano quelli raccontati dal solitario di Providence, quelli che divorarono in pieno giorno l’arabo pazzo Al-Ahzred. Nella penultima L’Oracle du Soleil, una voce più rassicurante intona un canto che diviene corale, i poveri contadini colpiti dal male sembrano rivolgersi al cielo, alzano lo sguardo dal buio a quella luce cui tutti tendiamo, di fondo sono ancora presenti versi simili al ringhiare degli orsi, così da introdurre il capitolo finale, L'antre du Pesteux, l’anticamera della fobia della peste nera, sette minuti dove una quiete fasulla sembra farsi strada, in verità il ringhiare minaccioso è sempre presente e ci ricorda solamente quanto siamo nudi in balìa degli elementi, la strada che separa le nostre solide convinzioni razionali dalla follia panica di quello che chiamiamo “mondo inanimato” è molto più breve di quello che possiamo immaginare. Lo scenario è quello del post apocalittico rivolto più al “senza via d’’uscita” che altro, possiamo chiamarlo Diavolo, Angra-Mainyu o semplicemente Madre Natura, possiamo dare connotati demoniaci a una tempesta che distrugge il raccolto o ci scoperchia la casa, tuttavia restiamo piccoli ingranaggi, nonostante il nostro dominio sulle altre specie viventi. Il Medioevo qui racconta di noi, di come in verità spesso sorridiamo dell’ingenuità dei nostri avi, scordando che non siamo mai cambiati, siamo sempre noi, siamo sempre vulnerabili e convinti di avere il controllo, salvo precipitare nell’ignoto per pochi dubbi, ecco, questo lavoro “mirabile e tremendo” (per citare Eco), ci ricorda cosa serpeggia in fondo alle nostre certezze, se avete voglia e tempo di staccarvi dalla frenesia della contemporaneità, i La Breiche vi guideranno là dove, come diceva il filosofo tedesco, “il terreno della realtà frana sotto ai piedi, e il sogno comincia…”

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