La Ciapa rusa, ovvero musica tradizionale del Piemonte.

Tre piccoli flash.

(Uno)

Immaginate qualcosa a metà tra il racconto boccaccesco e una canzone da osteria. Immaginate un fraticello che, in giro per la questua, bussa ad una porta e poco dopo si ritrova nel letto di una bella fanciulla.

La voce di chi canta ha qualcosa di divertito e anche un po' beffardo tal quale alla musica che l'accompagna. Finito il tutto parte una piccola mazurka, una di quelle cose che hanno l'aria di niente e che svolazzano appena. Ma non è l'organetto di Barberìa e non c'è nessun piccolo fanciullo che piange. E' solo la grazia popolare.

E quella grazia fa si che la musica sembri lo stesso miracolo che doveva sembrare al bel tempo che fu, quando assai rare erano le occasioni per ascoltarla.

(Due)

Re Gilardin ferito bussa alla porta del suo palazzo, viene dalla guerra e gli rimane solo il tempo di morire. Poi per le strade è tutto un udirsi di musica e canti, che così ha ordinato la regina madre. La consorte del re, che da poco ha partorito un bambino, non deve sapere nulla. Oh tutto bene, il piano procede, ma un giorno un chierico avventato rivela tutto alla ignara vedovella.

Cantata a più voci, come un vero proprio brano di teatro popolare, questa splendida ballata veniva un tempo eseguita da più personaggi durante le veglie nelle stalle.

Più dolce che tragica, e questo è tipico della Ciapa, sembra una ninna nanna appena sfiorata da una epicità lieve. Quando Maurizio Martinotti (Re Gilardin) canta "Oh tun, tun, tun, pica la porta/ oh mamma mia che mi son morto" sembra un bambino...e io non so dirvelo quanto sia dolce quel "tun tutn tun" E comunque "la tua boca la sa di rose, mentre la mia la sa di tera

(Tre)

Un bel galant incontra una monachella e la invita sotto l'ombretta a sentir l'odore della violetta. La monachella dice che prima di farlo è necessario che lei torni al convento per restituire la tonaca. "Oh, certo, certo, va bene". E il bel galant aspetta, aspetta tre giorni e tre notti. Poi va al convento e tira la corda del campanello. Si affaccia alla finestra la badessa: "che vuoi bel giovane?" "cerco la monachella bionda".

Ecco, la cosa fantastica è che la badessa gli risponde come gli risponderebbero all'osteria "oh bel coglioncello, avevi la quaglia sotto i piedi e l'hai lasciata volar via" E poi, mentre le parole della badessa sono ancora nell'aria, ecco che parte un folk fatato e arioso che, a un certo punto, diventa anche un pochino marziale. E, al suono di quella strana marcia fatata, passano in rassegna tuti i personaggi e tutti gli incanti che questo disco ha raccontato. E volan via ninne nanne, filastrocche, canti rituali, danze, strambotti d’amore.... .

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Onore alla Ciapa rusa, un gruppo fatto di ricercatori ancor prima che musicisti, ovvero gente che si è sbattuta ed è andata a cercarsi ste musiche in montanis et alpestribus loci, tra fera gens sine religione, inontrando gli ultimi favolosi suonatori di ghironda, piffero e organetto.

Ecco, io e Edgar, mio caro amico, oltre che illuminato mentore folk, ce li siam pure visti dal vivo quelli della Ciapa...esperienza fantastica, inutile dirlo...fantastica e produttrice di due cd che ci accattammo ben volentieri, io questo di cui vi sto malamente parlando (ovvero un antologia dei primi quattro album) lui l’ultimo che il gruppo aveva fatto, il meravigliosa “Aji e safran”.

Quando poi Edgar di “Aji e safran”mi fece la cassettina ci disegnò sopra uno scorcio della piazza rossa di Mosca

“Ma scusa Edgar, Ciapa rusa significa pezza rossa e non piazza rossa”!!!”

E, per spiegare, riporto dal libretto del cd:

“La ciapa rusa sta a significare, in dialetto monferrino, la pezza rossa. A Bozzole, paesino dell’alessandrino, vi era una famiglia i cui componenti pare eccellessero nel canto. Il capofamiglia, bracciante salariato e ciabattino, si sarebbe prodotto, lavorando, uno strappo nei pantaloni e questi sarebbero stati rattoppati con l’unico pezzetto di stoffa, di color rosso, che c’era in casa: di qui il soprannome con cui l’intera famiglia era designata in paese.”

Ed ecco la risposta di Edgar: “il senso di quella piazza è proprio quella pezza”

Au revoir...

Ps: se qualcuno apponesse la menzione artista del popolo non mi dispiacerebbe...

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