Puntuali come un orologio svizzero, i milanesi La Crus si ripresentano con il loro sesto album. Dal 1995, data del loro esordio, ogni due anni esatti ci hanno allietato con nuove uscite discografiche. Per sgombrare subito il campo da ogni equivoco mi dichiaro fan della prima ora del gruppo milanese e finora mai mi hanno deluso tanto da meritarsi la palma di miglior gruppo pop-rock della penisola. Per il sottoscritto, beninteso. Perciò è sconsigliata la lettura di questa recensione ai critici poco flessibili, ai troppo seriosi e ovviamente a tutti coloro che non considerano i La Crus come la propria tazza di tè.

Conosco Alessandro Cremonesi fin da quando eravamo ragazzini. Veniva in ferie con la sua famiglia nei mesi estivi nella "mia" campagna toscana dove sono nato, cresciuto e tuttora risiedo. Sono passati tanti anni da quei tempi ma chi si andava ad immaginare che potesse tagliare simili traguardi. È sempre stato attratto in maniera, ma poi nemmeno troppo, ossessiva dalla musica ma niente lasciava presagire un simile trasporto. I suoi genitori, ogni tanto, continuano a frequentare le campagne pisane e cordialmente ci scambio ancora qualche chiacchiera. Con Alex ci sentiamo al telefono una volta l’anno e raramente ci scambiamo e-mail. Ormai c’è troppa polvere sopra i nostri ricordi, troppa distanza fra di noi, troppo tempo è passato, insomma tutto troppo. Dicevo ? Ah, si!... il disco.

Alex Cremonesi membro occulto dei La Crus co-firma sette brani su dieci di questa nuova fatica discografica. Molti critici avevano storto la bocca sul precedente, a detta loro, mezzo falso dei milanesi e tutto lascia presagire che non saranno troppo teneri nemmeno adesso. Si sono commercializzati, era la frase più ricorrente, hanno finito la benzina sentenziavano altri. Temo, purtroppo che il ritornello sarà lo stesso, forse anche peggiore giacché sono recidivi. È innegabile che rispetto all’omonimo esordio e soprattutto al successivo "Dentro Me" le cose sono cambiate ma, aggiungo io, non necessariamente in peggio.  È vero il suono si è edulcorato, le liriche si sono fatte più accessibili, smielate addirittura in "Dietro La Curva Del Cuore", la costruzione dei brani si è "normalizzata" sul canonico stile inciso-ritornello, ma alzi la mano chi ritiene facile fare un disco di musica pop. Lucio Battisti lo ha fatto per decenni incontrando il favore smisurato di critica e pubblico e viene ancora portato d’esempio a chiunque si affacci nel mondo delle popolari sette note.
Quindi non aspettatevi rivoluzioni rispetto ai due predecessori, la strada maestra è stata tracciata, c’è soltanto da percorrerla, con classe s’intende. Dietro alla poesia della title-track, agli incanti sonori di "Libera la mente", alla melodia cristallina de "I miei ritratti", interpretati sempre con piglio autoritario, mai sopra le righe, lui che con quella voce potrebbe permetterselo, da Mauro Ermanno Giovanardi, si cela un gruppo maturo consapevole delle proprie possibilità che ha deciso di offrire un’altra chance all’asfittico e ottuso pubblico italiano perso dietro ai vari Nek, Laura Pausini, Piero Pelù, Gigi D’Alessio e compagnia cantante.
Recitava una vecchia pubblicità: per molti ma non per tutti. Cogliamo questa possibilità perché, a dispetto del titolo, non so quante altre ce ne concederanno. Personalmente auguro loro ogni fortuna. Se la meritano.

P.S. - Al cd è allegato un dvd con una selezione di cortometraggi del Milano film festival ri-editati sulle canzoni. Esperimento curioso ma un po' avulso dal progetto.

P.S. 2 – I progetti grafici dei loro dischi meriterebbero, forse, una maggiore attenzione.

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