"Gente che sa solo fingere che

Dalla luna si può percepire il calore" - Non amarmi così

Atmosfere lunari. Dal buio alla luce, e ritorno. Favole che diventano realtà, dalla terra alla luna e fra milioni di stelle. Storie d’amore e di amori. Frammenti umani. Emozioni pure, universali, che trafiggono da parte a parte. L’immaginario artistico de La Fame di Camilla si nutre delle verità più profonde dell’animo umano: i suoi fili (s)coperti, i suoi angoli ipersensibili, le sue esperienze che scorrono ma non si dimenticano. Immaginario in cui l’ascoltatore attraverso la musica, attraversa se stesso.

Lungi da retoriche sentimentaliste o lamentosi autocompiacimenti, l’orizzonte cantato dalla band italo-albanese si racconta con raffinata spregiudicatezza, intessendo il pentagramma delle uniche parole che potrebbe/vorrebbe accogliere. Testi e musica nascono da un irrefrenabile lavorio interiore che preme, si fa urgenza, emergenza, furore. Un’intelligenza emotiva che si fa strada tra le corde delle chitarre elettriche e acustiche, gli accordi di una tastiera, i ritmi della batteria, le impressioni digitali: quel “pa-ppa-da-da-da-da” di ritorno, dalla seconda strofa di "Buio e Luce", sdrammatizza le cromature di sonorità fredde, metalliche, eclittiche; quel “uh-uuh-uuuh” in "Campi di Grano" completa la preziosa freschezza del brano, un invito ad aprirsi all'altro, ad incontrarlo, a conoscerlo davvero; e ancora, quello che definisco effetto-Scala a chiocciola, come nel celebre film di Siodmak del ’46, oppure, se preferite, l'effetto-brivido hitchcockiano di "Globuli", a testimoniare inquietudini, tremori, equilibrismi, silenzi narranti, sensibilità da interrogare e passioni umane troppo umane, a partire dal retrogusto etimologico del patire.

Questi giovani musicisti dipingono sugli spartiti immagini siderali, scaldandole da dentro, al centro. Ogni brano è una proposta di viaggio, al cuore di noi stessi. E’ musica cantautorale. “Normale fin troppo una canzone che nasce perché qualcosa in me vive”, "Campi di grano". Una costante del loro repertorio è il tema del doppio, a cominciare dal titolo del secondo album “Buio e Luce”: forza/paura, madre/figli, piangere/ridere, favola/realtà, speranze/bugie (pensiamo all’utilizzo frequente della voce verbale ‘fingere’ ),... I lati oscuri del sé, dell’altro, del mondo e dei mondi, conosciuti e/o immaginati, vengono illuminati, dichiarati, liberati. Una presa di coscienza, questa, che esprime la consapevolezza di sentirsi (a)normale nel sentirsi vivo, ovvero speciale (riascoltiamo Come il sole a mezzanotte, per esempio); allo stesso tempo, tale consapevolezza rilancia il desiderio, di più, la volontà di ‘diventare migliore’, di com-prendere, di comprender-si: sé, gli altri, gli universi-mondi-umani, viventi e vitali. Immergendosi, in questo viaggio che è la vita, nel meraviglioso. Di meraviglioso.

Lo sguardo intorno a sé, aperto al cielo e oltre, nello spazio cieco e acceso - figura del vivere e dell'essere - intuisce una tensione verso l’infinito, sperimentandola al di là dei perimetri e delle circostanze, riscoprendola dentro di sé e in ognuno di noi.

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