Gli L.A. Guns il successo lo hanno solo sfiorato, sopratutto agli albori della loro carriera, con i primi due dischi.
Il primo, omonimo, edificato su un pericoloso e urbano street metal, resta forse il loro migliore lascito, mentre con il secondo, "Cocked And Loaded", assaggiarono veramente la gloria grazie al singolo "The Ballad Of Jayne".
Dopo un clamoroso passo falso con il terzo "Hollywood Vampires", il gruppo si ritrovò in un purgatorio musicale nel bel mezzo della tempesta grunge di inizi anni '90 e qui rischiò veramente di implodere.
Il leader e chitarrista Tracii Guns (che il successo lo aveva veramente accarezzato, entrando ed uscendo dai Guns N' Roses nel periodo fetale, prima di essere sostituito da Slash) lascia la band prima di entrare in studio per questo "Vicious Circle", per poi farvi ritorno una volta che la casa discografica minaccia ritorsioni legali per inadempienze contrattuali.
Da qui nasce l'idea del titolo: un "circolo vizioso" in cui da un tentativo di cambiamento si ritorna gioco forza al punto di partenza.
Con queste premesse negative poteva essere un disastro ma, nonostante le diverse stroncature presenti in rete e su varie riviste di settore, non tutto è da buttare, ed alla fine molto è da salvare.
Certamente la quantità di pezzi (quindici) appesantisce il risultato finale, e "Who's In Control (Let 'Em Roll)" e "I'm The One" potevano tranquillamente essere sacrificate, così come la presenza della seppur memorabile ballad "Crystal Eyes", ripescata dal disco precedente come bonus track, lascia il tempo che trova.
Il resto però è un concentrato di brani avvincenti e vincenti, dove domina la componente street, sporcata a più riprese da molteplici sfumature blues.
Pezzi veloci si alternano costantemente a ballate o tempi medi.
I primi sono spesso tracce assassine con un'urgenza che rasenta il punk-metal di scuola Motorhead ("No Crime") per tracimare anche nel trash-metal con "Killing Machine" e la liricamente sciocca "Kill That Girl".
Senza dimenticare la presenza di qualche grumo grunge, soprattutto nell'iniziale "Face Down", aspetto immancabile in tanti lavori usciti durante il regno delle camicie di flanella di band che poco o niente avevano a che fare con quello stile musicale.
I momenti soft ed i tempi medi hanno invece un'anima blues nascosta tra gli strumenti, il cui spettro risalta sulla cover dei Ten Years After "I'd Love To Change The World" e nel rock-blues forsennato di "Nothing Better To Do".
Quando poi giunge la fine del disco con "Kiss Of Death" (la loro "November Rain"), suo vertice assoluto, arriva la voglia di ricominciare l'ascolto e di perdersi nel circolo vizioso assieme alle pistole di Los Angeles.
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