"La Otracina is the New Wave of Psychedelic Heavy Metal, a contemporary musical vision exploding with classic influences and mind-warping sonic fusions"
...e se lo dice Adam Kriney, musicista "avant-garde rock/jazz/noise", proprietario della micro etichetta Colour Sound Recording, batterista e/o tecnico del suono di più o meno ogni formazione della scena psych di Brooklyn e - guarda caso - fondatore dei La Otracina, beh... allora c'è da fidarsi.
"Blood Moon Riders" ('09) è il terzo full length ufficiale della band newyorkese (che, nel frattempo, ha già prodotto un altro Cd-R e ha annunciato il quarto LP di cui già si può gustare un video assaggio) e, incidentalmente, è anche l'ultimo che vede la partecipazione del siciliano Ninni Morgia, chitarrista in pianta stabile del terzetto dal lontano 2006.
Forse proprio per concedere al fuoriuscente sodale l'onore delle armi, Kriney limita la propria esuberanza batteraia e, soprattutto, pone un freno alla propria bulimia compositiva. Morgia può così svariare tra una selvaggia cavalcata elettrica, tutta giravolte e piroette per sei corde su martellare di tamburi ("Inner Mind Journey", quasi una riedizione ipertrofica del primo Manuel Göttsching), e paesaggi sonori rarefatti, disegnati da leggeri tratti di chitarra diluita con massicce dosi di wah e delay ("Ballad of the Hot Ghost Mama", più o meno il suono di un'astronave fantasma che solchi gli oceani intergalattici priva di equipaggio), oppure fare l'equilibrista sul sottile filo della cafonerìa, stravaccandosi in melodie ariose da "Inno alla gioia intergalattica" ("Zunblazer", a cui davvero manca solo un coro di fricchettoni col Volkswagen a reazione e la tuta spaziale a zampa d'elefante).
Il risultato è un disco in cui il baricentro sonoro della band si allontana dalla destrutturazione "free-rumoristica" dei Guru Guru per avvicinarsi alle atmosfere - comunque affascinanti, ma decisamente meno ostili - dei primi Ash Ra Tempel: forse non potrà vantare la delirante esuberanza del mastodontico "Love Love Love" (un collage annichilente di psichedelia, kraut e improvvisazione spinta di oltre due ore e mezza di durata), né tantomeno la "gradevole ostilità" di "Tonal Ellipse of the One", ma si lascia gustare proprio per la sua maggiore facilità di ascolto e per una capacità di sintesi sino ad oggi sconosciuta alla band newyorkese
Un album meno anarchico, quindi. Meno surreale e - diciamolo - meno goduriosamente folle.
Ma anche più lucido e decisamente più "potabile".
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