L' anno 1996 per la musica metallica italiana segnò la nascita di due dei più grandi fenomeni che la nostra penisola abbia mai conosciuto: 1) Nasce uno dei migliori gruppi power/progressive, i Labyrinth 2) È l'inizio della folgorante carriera di uno dei vocalist più ammirati nell'ambito metal, Fabio Lione. Ed è proprio nel 1996 che il gruppo compone e mette sul mercato il proprio debut album, chiamato "No Limits": un debut unico, originale, azzardato, qualcosa di mai sentito, musica metal nella quale la perizia tecnica conviveva alla pefezione con la melodia e l'impatto emotivo ed alla quale si legavano delle tastiere dalla forte influenza techno; le critiche non tardarono allora ad arrivare, c'era chi li giudicava un gruppo techno che utilizzava chitarre distorte, chi li denigrò completamente affermando che eravamo avanti ad un gruppo commercialissimo e chi invece lodò lo sforzo immenso che questi giovani musicisti avevano compiuto.

L'album, composto da 13 episodi, fu dunque qualche cosa di nuovo specie nello stagnante panorama italiano, dando una ventata di aria fresca ad un mercato da troppo tempo fermo ed ancorato a tradizioni oramai morte. Il disco si apre con "Mortal Sin", traccia introdotta da tastiere elettriche alle quali poi si attaccano chitarre distorte, una batteria che scandisce dei tempi imprendibili e non ultima una voce potente e cristallina, che non disdegna degli accenni a tonalità aggressive e basse; splendido il chorus nella quale Lione da il meglio di se, accompagnato da tutti i suoi compagni che vanno a tessere una base melodica invidiabile. "Midnight Resistence" si muove sulle stesse coordinate della precedente song, mostrandoci dunque una band capace e sicura dei mezzi a propria disposizione: la sezione ritmica si fa questa volta più approfondita e complessa, presentando varie battute in tempi dispari e numerosi cambi di tempo; notiamo inoltre una maggior teatralità da parte del vocalist, il quale abbandona le tonalità più aggressive, per meglio sfruttare delle vette vocali decisamente elevate. Si passa così a "Dreamland", canzone nella quale si comincia ad intravedere il percorso musicale che poi i Labyrinth tratteranno nei i due successivi dischi: l'abbondanza di doppia cassa, assoli velocissimi e complessi, danno l'impressione di trovarsi davanti ad una traccia uscita fuori da "Return To Heaven Denied". Eccellente l'acuto di Lione nel mezzo della canzone, accompagnato da delle atmosfere di ottima qualità.
Arriviamo così a quella che si può tranquillamente considerare come la miglior traccia di tutto il disco: "Piece Of Time", brano veloce, ricco di cambi di tempi, assoli fulminanti da parte di chitarra e basso, rasoiate di doppia cassa e tanta melodia. Ancora una volta da lodare l' interpretazione vocale davvero di elevato livello. Ottima la scelta tra l'altro di comporre un brano di breve durata, grazie alla quale la canzone è diventata una richiestissima hit in sede live. La seguente track è rappresentata da "Vertigo", riedizione in chiave metal di una canzone techno dance degli anni '90: il risultato finale è ancora una volta di livello squisito, con una sovrabbondanza di doppia cassa che scandisce tempi velocissimi, accompagnata da un basso che non perde una nota e da delle chitarre a fare da cornice, le quali vanno ad incastonare una melodia rapida e di grande effetto. Abbastanza inutili questa volta le linee vocali che nulla aggiungono o tolgono alla canzone.
La successiva "In The Shade" mette il piede sull' accelleratore ancora una volta: velocità, passaggi puliti e rapidi, melodie travolgenti ed una voce aggressivamente potente ci accompagnano tra strofe decisamente affascinanti, alle quali si attaccano dei ritornelli veramente unici in quanto a bellezza. Si passa così alla title-track, canzone che ben sviluppa i temi musicali affrontati fino ad ora, mostrando però maggiormente la parte progressive del gruppo; troviamo inoltre un estrema incongruenza melodica tra le strofe, estremamente controllate e riflessive, ed un chorus molto più spinto e tagliente. Lodevole la teatralità sfruttata in fase vocale da Lione. "The Right Sign" rappresenta il punto debole del disco invece, complici delle keyboards sfruttate in maniera pessima, la traccia si fa scordare velocemente. Ancora aggressività e perizia tecnica in "Red Zone", song che fa della velocità e di un ottimo utilizzo della tastiera le sue armi fondamentali. Splendida la parte strumentale. Grandi emozione e delicatezza esprime invece la seguente "Time Has Come", traccia dolce ed aggressiva al contempo. La ricchezza di cambi di tempo e una generale difficoltà, fanno di questa canzone una delle più complesse dell' album, che va ascoltata più volte prioma di essere compresa. Arriviamo così all' unico esperimento veramente mal riuscito di tutto il disco: "Lookin' For", traccia noiosa e fiacca, che non ha senso di esistere immezzo a cotanta bellezza.

"Call Me", penultima traccia del disco, da l'ultima mazzata di energia e potenza, presentandosi come traccia che sfrutta velocità e cambi di ritmo al fine di rendersi all' altezza della traccia finale del disco: sto parlando della bellissima "Miles Away", canzone delicata ed atmosferica nella quale, complici un grandissimo Fabio Lione al microfono ed un certo Olaf Thorsen alle chitarre, troviamo tutti gli elementi utili ad elevare la canzone a capolavoro (verrà tra l'altro risuonata e riadattata in "Sons Of Thunder"). Il disco è terminato ed ora è doveroso spendere due parole sulla produzione del disco, che ho trovato veramente pessima, quasi fastidiosa: è impossibile rovinare un lavoro del genere, che potrebbe meritare molto di più, a causa di una produzione di ultima serie. Apparte questo non credo sia utile spendere troppe parole (cosa che ho già amplamente argomentato nella recensione track-by-track) sull'estrema perizia tecnica dei musicisti.

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