Niente da dire. Questi Lacuna Coil non assomigliano neanche lontanamente a quelli di "Karmacode". Tutta un'altra musica, tutta un'altra mentalità, originalità pura, commercializzazione pari a zero.

I Lacuna Coil sono un quintetto milanese, composto dalla bellissima Cristina Scabbia (voce), da Andrea Ferro (voce), Marco Coti Zelati (basso), Cristiano Migliore (chitarra elettrica), Cristiano Mozzati (batteria). Una carriera di tutto rispetto alle spalle iniziata nel 1994, quando ancora si chiamavano Sleep Of Right, e sputtanata solo recentemente col già citato Karmacode. Anzitutto bisogna dire che questo non è un album originale: infatti è un mix inconsueto fra l'album degli esordi ("Lacuna Coil", 1998) e il successivo "Halflife" del 2001. In parole povere, questo album è nato essenzialmente con lo scopo di raggranellare qualche iuroz in più, ma tralasciando la questione economica questo cd è una fusione fra due capolavori della musica italiana e gotica in generale. Le prime sei canzoni appartengono ad "Halflife", le successive cinque a "Lacuna Coil". E tutte e undici le song rispecchiano una bravura eccezziunale veramente, parafrasando Abatantuono, e soprattutto realizzate con l'intento di spaccare e di divertirsi e senza scopi secondari (come, ad esempio, attirarsi il favore delle quindicenni).

Il disco parte con "No Need To Explain", una canzone che ha un inizio abbastanza inquietante e che poi si apre con un chitarrone gotico a metà fra un suono cupo e un suono solare. Le voci combinate di Cristina e di Ferro vengono accompagnate da sporadici stacchi di pianoforte, di rara bellezza, e dalla violenza delle cinque corde del basso di Coti Zelati. Indubbiamente un pezzo che rispecchia la più che buona sintonia fra i due cantanti e che sottolinea in modo positivo le qualità vocali, fuori del comune, della nostra compaesana Scabbia (niente battutine, per favore). La seconda traccia è "The Secret. . . " ed è una canzone un po' insolita nella parte iniziale, visto che si apre con un giro di basso decisamente fuori dai ranghi della Spirale Vuota, seguito poi da una schitarrata che ricorda spiacevolmente i gruppi finti punk finti pop finti rock (avete capito). Ma il ritornello è decisamente godibile, con le voci di Cristina ed Andrea che si amalgamano ancora una volta perfettamente, dividendosi le parti canore a metà. Stupefacente l'assolo di fine canzone, realizzato da Migliore con un leggero sottofondo di nacchere. Si arriva pienamente appagati alla terza composizione, ovvero "This Is My Dream", che stavolta lascia un po' delusi, visto che somiglia moltissimo al pezzo precedente per quanto riguarda le voci e soprattutto i riff di basso (decisamente uguali a "The Secret. . . ") e l'unica cosa che rimane di questa canzone alla fine è ancora una volta il riuscitissimo assolo.

"Soul Into Hades": quarta canzone che parte con un taglio più cattivo e che sfocia ancora una volta in strofe più morbide, con l'alleggerimento delle chitarre e l'inserimento di impercettibili sfumature di pianoforte. Verso i due minuti e mezzo, Coti Zelati esplode in un assolo sufficientemente feroce da riportarci dalle brume gotiche sognanti dei nostri pensieri alla realtà. Ma è un fuoco di paglia, ben presto le chitarre lasciano ancora spazio alle voci intrecciate dei due milanesi. La fine è un po' brusca, in quanto la canzone si interrompe di colpo senza preavviso, ma tutto sommato è ancora una volta un' esibizione azzeccata. Da favola la quinta canzone, il capolavoro dell'intero EP a mio avviso, intitolata "Falling" (e notare che gli Evanescence, due anni dopo questa canzone, intitoleranno il loro album "Fallen"). Questa è una traccia impregnata di malinconia, con chitarre cupe in sottofondo mentre Cristina domina la scena con la sua voce ancora una volta superba. Non potevano mancare gli strumenti come pianoforte e addirittura arpa, mai così gelidi e malinconici (infatti ascoltando la traccia si ha un'idea di aurea freddezza) e il risultato finale è indubbiamente meraviglioso, con la parte conclusiva che riporta il suono di una raffica sibilante di vento. Sesta traccia, dal titolo fuorviante ("Un Fantasma Fra Noi") visto che l'italiano non compare (tutti i testi sono cantati in inglese): è una strumentale di oltre cinque minuti, in perfetto stile gotico, con Migliore e Coti Zelati che si superano, tagliando riff crudi e accordi dolci in contemporanea. Per chi s'intende di poesia, questo è un ossimoro continuo, che si conclude con il suono di piatti soffocati. Capolavoro. La settima composizione, dal titolo "Halflife", ha un inizio stupendamente orientaleggiante (i System of a Down in stile gotico) che permane poi per tutta la canzone. È decisamente il pezzo più crudo di tutto l'album, visto che a virtuosismi strumentali si alternano i growl di Ferro e i violenti stacchi di Migliore: un esperimento decisamente insolito ma, amio parere, molto azzeccato.

i arriva all'ottava canzone, dal titolo "Trance Awake", e questa volta il titolo non è messo a caso, visto che è un' altra strumentale dal sapore quasi mistico, completamente priva di chitarroni e dominata dalla tastiere e da lontani violini. Non ci si può riprendere facilmente: "Trance Awake" finisce dopo pochissimo tempo e comincia perentoriamente la magia di "Senzafine", canzone interamente in italiano che è lontana anni-luce dalle oscenità di "The Game". I versi infatti suonano molto adatti alla canzone (contrariamente alla traccia di Karmacode), che è accompagnata ancora una volta da riff di chitarra violenti al punto giusto e da sognanti tastiere che volteggiano nell'atmosfera. Decisamente una sorpresa positiva. "Hyperfast" è la decima composizione e qui purtroppo è una nota a sfavore, visto la non immediata assimilazione della melodia, sfortunatamente uguale alle precedenti traccie. Cristina Scabbia ha ancora una volta campo libero per esaltare la sua voce, interrotta solo sporadicamente dagli urlacci rauchi di Ferro, anche questi ripetitivi. Ricordiamo, comunque, che questa è una traccia facente parte dell'album d'esordio, e quindi quelli erano ancora dei Lacuna inesperti. E si arriva alla canzone conclusiva, "Stars", che ha un inizio terribilemente identico a "No Need To Explain", ma che successivamente punta su tutta un'altra direzione. Le chitarre non incidono come dovrebbero e il risultato è che, invece di risultare gotica, la canzone scade leggermente nel pop. Non che questa sia una defezione gravissima, visto che Cristina canta ancora in modo divino, però sicuramente si poteva fare di meglio.

In conclusione, un album di cui consiglio vivamente l'acquisto, visto che con poco più di quindici euro potrete avere due pietre miliari della carriera del quintetto nostrano. Io non me ne sono pentito e, se seguirete il mio consiglio, penso nemmeno voi. In ogni caso, buona continuazione a tutti.

Carico i commenti...  con calma