Sesto disco in nove anni per i Lamb Of God, che, dopo aver sfornato un capolavoro come "Ashes Of The Wake", sembravano aver perso un po' di vista la strada che li aveva portati al successo tramite un'evoluzione del sound mai radicale ma sempre percepibile.

Con "Sacrament" i 5 di Richmond sembrarono in leggera flessione, quasi si avessero accarezzato l'idea di adagiarsi sugli allori; l'album manteneva la solita carica groove, ma una fondamentale staticità dal punto di vista delle strutture e la pulizia eccessiva del suono dell'album deluse molti fans (me compreso) che si aspettavano una violenza fresca come suono ma immutata come impatto. "Sacrament" ebbe l'effetto contrario, tanto che si cominciò a pensare che i LOG avessero già imboccato la via del tramonto.

Niente di più sbagliato. Se da un lato la firma con una major dava finalmente ai nostri il giusto compenso per gli sforzi compiuti, dall'altro dava ulteriore adito ai dubbi di miolti fans, rassegnati ad una formula che privilegiasse la commercialità a discapito della verve dei nostri.                                                              

Fortunatamente "Wrath" fuga praticamente tutti questi dubbi; l'album è, come al solito, potentissimo, il tappeto sonoro steso dalla batteria di Chris Adler è sempre più perfetto e tecnico senza mai cadere nell'autocelebrazione, le chitarre suonano leggermente più alte come tono, dando maggior chiarezza sia ai riff granitici sia agli assoli incrociati dei due pazzi alle asce (Willy Adler & Mark Morton), il suono è tornato quello grezzo che evita di mettere troppo in risalto uno strumento su un'altro, Randy Blythe ha sempre il solito growl spaccasassi e stavolta non esita a cimentarsi in vocalizzi sempre estremi ma più vari, che passano da un growl quasi death ad uno scream metalcore evocativo e tecnicamente ineccepibile, senza dimenticare inserti acustici che calzano a pennello prima delle inevitabili sfuriate.

Quest'album sembra avere solo pregi rispetto ai precedenti; tuttavia alcuni lievi difetti, alcuni dei quali opinabili, ne precludono secondo me la definizione di capolavoro: il ritorno alla produzione grezza ha penalizzato la qualità di alcuni suoni, soprattutto il rullante; le chitarre, nonostante la maggior comprensibilità raggiunta con l'innalzamento di tono, spiccano forse un po' troppo, facendo comparire crepe in quel muro sonoro, nelle precedenti edizioni, indistruttibile; oltretutto, a parte qualche traccia in classico stile LOG, la maggior ricercatezza nelle composizioni fa perdere quella immediatezza che, nonostante le grandi idee sempre registrate dal quintetto di Richmond, era sempre stata al primo posto.

L'album ha in se diverse anime, fra le quali spiccano quella "Panteristica" di "Set To Fail" , quella violenta in "Contractor", fra le più dirette di sempre, l'anima complessa con annesso ritornello memorabile in "Fake Messiah"  e quella più trasheggiante in "Everything To Nothing". Menzione doverosa per le due chitarre in "Grace".

In sostanza un bel disco, un must per i fan dei LOG, che ne rimarranno letteralmente affascinati, ma la sensazione che l'evoluzione ulteriore iniziata con "Sacrament" non sia ancora terminata permane.

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