Ci sono dischi che sono nati per abitare in stanze buie ed insinuarsi nella mente dell’ascoltatore, riportando a galla i ricordi più nostalgici, affreschi di un tempo che non c’è più.
"One Man Tell’s Another" è uno di questi dischi. A parer del sottoscritto il capolavoro dei Landberk, gruppo che insieme ai connazionali Anglagard e Anekdoten ha portato alla ribalta il movimento progressive svedese nei primi anni 90. In realtà quello che unisce i tre gruppi è solo la terra di origine, in quanto la proposta musicale è completamente differente. Laddove i cugini hanno incentrato il proprio lavoro su un tessuto sonoro più complesso e virtuoso, i Landberk hanno invece privilegiato l’aspetto emotivo ed intimistico.
La loro musica viene dal freddo, ma ha il calore di una coppa di vino sorseggiata al tepore di un camino, mentre fuori imperversa una bufera. Un suono essenziale, dai toni rilassati e dalle melodie suadenti, con infiltrazioni jazz e lievi rimandi psichedelici. Non si può restare indifferenti dinanzi al suono della chitarra di Reine Fiske, vera protagonista del disco, che gioca con le distorsioni e con i riverberi. A volte urlando la sofferenza ed altre dipingendo la dolcezza con tocchi sinuosi e delicati. Non può non ricordare in alcuni tratti il migliore Robert Fripp.
Da sottolineare anche il lavoro di Simon Nordberg alle tastiere. Le parti di Mellotron, sempre in sottofondo e mai invasive, coordinate con un pianoforte gentile e malinconico e sporadici accenni di hammond. La sezione ritmica, composta dal bassista Stefan Dimle e dal batterista Jonas Lidholm, è piuttosto dinamica e unisce ad un tessuto tipicamente progressive delle trame con forti influenze jazz. Infine non si può dimenticare la voce e l’interpretazione di Patrick Helje, cantante ispirato ed emozionale, che forse in ultima risulta il vero punto di forza del gruppo.
I pezzi sono uno meglio dell’altro. Si inizia con la più ritmata “Time”, brano con una melodia accattivante e più tipicamente rock, che a volte rimanda alle sonorità dei primi U2.
Si prosegue poi con la camaleontica “Kontiki”, più vicina ai maestri King Crimson, che alterna le più dure distorsioni di chitarra a momenti decisamente più eterei e suadenti. “Mirror Man” è invece una canzone lenta e nostalgica, con accentuate sfumature jazz. Le successive “You Are” e “Rememberence” sono due brani sognanti, dai ritmi e dalle cadenze crepuscolari ed ipnotiche. Il disco continua con “Valentinsong”, il brano più rilassato del disco, con flebili suoni di chitarra e piano che accompagnano una voce quasi sussurrata, conferendo al pezzo quasi un’atmosfera new-age. Si chiude con “Tell”, brano aggressivo e dalle ritmiche più tipicamente rock, quasi a voler destare l’ascoltatore dal torpore alcolico. O credevate forse che quella coppa di vino bastasse?
“One Man Tell’s Another”, nonostante l’errore ortografico, viene eletto da gran parte della critica europea come disco Prog del 1994. E personalmente ritengo sia uno tra i migliori lavori degli ultimi vent’anni. I Landberk produrranno un altro eccellente lavoro, “Indian Summer”, già magnificamente recensito su questo sito. Successivamente il gruppo si scioglierà, come peraltro i cugini Anglagard, per la cocente delusione dei propri fans. Dimle e Fiske collaboreranno con alcuni componenti degli Anekdoten nel buon progetto “Morte Macabre” e successivamente fonderanno i Paatos, recuperando in parte le sonorità dei Landberk ma senza raggiungere gli stessi eccelsi risultati.
Carico i commenti... con calma