LANG LANG : i suoni dell'acqua.

PARCO DELLA MUSICA DI ROMA 25 GENNAIO

C'è un momento nella vita di ciascuno che può rientrare nella categoria dell'"Indefinita indeterminatezza", lo stato d'animo di chi sente venir meno riferimenti divenuti importanti e percepisce che persone a sé vicine hanno cambiato prospettiva, inspiegabilmente, senza motivo, contraddicendo persino le proprie parole o, forse, le proprie emozioni. Lo stato d'animo indefinito di chi fatica a capire la posizione degli altri, gli amici, rispetto a sé ma anche la propria rispetto a loro; un Indeterminato che non crea le condizioni per nessun tipo di "ascolto", tanto meno quello della musica; la disponibilità a lasciarsi pervadere e persino sconvolgere da ciò che si ascolta è fortemente limitata e ostacolata.

O forse non è così. Forse il carisma e la presenza , l'originalità di un vero musicista, seppur giovane, possono.

Lang è un pianista che al suo esordio mi aveva affascinato per le sue capacità di "incantatore", un po' come il fiabesco "flautista di Hamelin", la flessibilità e la duttilità di un corpo capace di suonare CON la musica, messo in vibrazione da essa e capace di rispondere con movimenti aggraziati ed armoniosi. Tuttavia, musicalmente mi aveva lasciato assai perplessa, vi percepivo sempre un qualcosa di eccessivamente plateale, fastidiosamente teatrale a volte anche poco profondo sia nel suono che nell'approccio ai pezzi. Lo scorso anno ho ascoltato il cd con il 4° Concerto di Beethoven e ho percepito la crescita, la maturazione.

Chiusa in me, all'Ascolto, all'ALTRO, mi sono comunque "trascinata" sino al Parco della Musica ed è stato un concerto pieno di come è Lang nella vita di tutti i giorni: vitalità, energia, entusiasmo, incoscienza e quel pizzico di istrionismo che forse non guasta.

Programma forse un po' lungo, con una prima parte assai impegnativa, la sonata KV333 di Mozart e la fantasia op.17 di Schumann a cui ha fatto seguito una seconda più breve con dei pezzi tradizionali cinesi, oramai elemento distintivo dei programmi di questo giovane pianista, La morte di Isotta di Wagner trascritta da Liszt e, a chiudere, la 6a Rapsodia ungherese come trionfo di un virtuosismo davvero lisztiano, quello che prima di essere semplicemente esibito, è compreso e interiorizzato, finalizzato non, o non solo, ad entusiasmare il pubblico, ma a plasmare lo spazio sonoro circostante dandone una nuova forma, fantasiosa e fantastica, riempiendolo del proprio suono, del proprio timbro. Quello di Lang ha tutti i colori e persino i suoni dell'acqua: cristallino e puro, opalescente ed adamantino nell'esecuzione del più bel Mozart che abbia mai sentito negli ultimi anni; frizzante, vitale, giocoso, operistico e buffonesco e al tempo stesso pensoso, eterno inquieto adolescente. Una sonata insidiosa in cui la cantabilità mozartiana veste una scrittura fluida e semplice, ma nasconde architetture complesse figlie di una voluta e ironica contaminazione formale, difficili da rendere con la naturalezza del "parlar piano"; eppure questa sonata è davvero scivolata sugli ascoltatori come una cascata di montagna.

Ed il suono si è fatto vitreo, poi scuro per la Fantasia op.17, l'alternativa e, al tempo stesso, la vera "forma sonata" di uno Schumann sperimentatore. Melodia versatile, in continua metamorfosi, che permette ai temi di richiamarsi e rincorrersi, trapassando e dissolvendosi gli uni negli altri. Se ripenso all'interpretazione di Lang ora, a freddo, razionalmente, so che quello che si è scontrato con l'idea percettiva che ho di Schumann e della Fantasia in particolare, è stato il venir meno al senso di continuità del "Tutto imparentato con tutto" a favore di una esecuzione quasi bozzettistica e frammentata, forse più consona ad un "Carnaval" o alle "Kinderzenen"; così come negli stacchi di tempo, nella realizzazione delle figure ritmiche una visione più "eroica" che "solenne", certamente in alcuni punti, troppo "ironica". È uno Schumann che ora mi sembra sia stato depauperato di "tormento e ricerca interiore". Eppure, nonostante queste scelte stilisticamente non del tutto condivisibili, Lang è riuscito ad imporsi sul mio uggioso stato d'animo e a farsi "Ascoltare", seguire passo per passo, nota dopo nota, nel suo percorso schumanniano. Alla fine, la sua interpretazione mi è sembrata comunque "piena" e ricca, probabilmente perché suonata e vissuta in prima persona con pienezza e partecipazione.

Il concerto per me poteva dirsi concluso.

In effetti la seconda parte con i pezzi tradizionali cinesi poteva piacere a qualcuno dei miei vicini che ha scambiato il Sogno d'amore (di Liszt) che Lang ha proposto come unico bis, per un improbabile Schubert o Schumann. Invece il suono etereo, poi lontano e cantilenante, della pioggia battente, è stato sostituito da quello dei gorghi di una massa d'acqua per Liszt. Splendida interpretazione di una altrettanto splendida trascrizione de "La morte di Isotta" di Wagner, in cui la maestria nel creare effetti, variegando il tocco si è fusa con una profondità di accenti mai sentita prima in Lang, nonostante il suo repertorio sia ormai molto vasto. Finale strappa-applauso, la Rapsodia, anch'essa ormai un "must". Molti dei pianisti della nuova generazione ne hanno scelte alcune da presentare in versione "difficoltata". Volodos la 12, Lang la 2 e la 6. Molti ritengono il loro un "vano" tentativo di porsi sulla scia di Horowitz, ma in Horowitz niente suoni, niente colori dell'acqua.

Horowitz, ormai, è stato di gran lunga superato.

Carico i commenti...  con calma