Sei minuti di amplesso in super slow motion. Così si apre il prologo dell'ultima fatica del regista danese. Penetrazioni ravvicinate, foga e passione descrivono l'amplesso che costerà alla coppia la vita dell'amato figlio, uscito dalla culla per ammirare alla finestra i candidi fiocchi di neve che si poggiano ovunque nel gelido paesaggio invernale.

E' la fine di una vita innocente, e l'inizio di una nuova vita per la coppia protagonista della vicenda: psicoterapeuta lui (Wilhem Dafoe), ricercatrice lei (Charlotte Gainsbourg), i due intraprendono un viaggio alla ricerca della rimozione del dolore, ma anche una profonda analisi del loro inconscio e delle loro paure più incoffessabili. Il punto di partenza? Eden. Un nome particolarmente evocativo per il luogo in cui la giovane protagonista ha vissuto gli ultimi momenti con il figlio, nel tentativo di completare una ricerca sulla stregoneria e l'inquisizione, mai completata. Un luogo in cui tutto ritorna alla condizione primitiva, probabilmente il luogo dove tutto è iniziato....

E' un film strano quello di Von Trier, che da sempre si è posto nel panorama cinematografico con un aut-aut: o lo si ama o lo si odia. Motivi per amarlo ce ne sono, primo tra tutti una visione particolare delle cose, un invidiabile coraggio nel mettere nero su bianco le sue emozioni, le sue paure, le sue angosce. Dl'altro canto il suo autoproclamarsi miglior regista vivente e una certa esuberanza nell'imporre le sue convinzioni non l'hanno mai aiutato più di tanto.

E in "Antichrist" Von Trier c'e tutto, al 100%. Forse il film che meglio lo rappresenta, che meglio illustra la sua personalità borderline tra l'angoscia e la visionarietà. Ma rispecchia anche il suo tecnicismo, a volte forzato, che in quest' ultima opera si incarna in un tripudio di primi piani, di bianco e nero, di inquadrature particolari, di slow motion nei momenti più impensabili.

Provare a dare un senso razionale al film non potrebbe che snaturare le sue intenzioni. Soffermarsi solo sulla volgarità degli amplessi, sulle eiaculazioni di sangue, gli aborti e le automutilazioni vaginali non potrebbero che far emergere solo una faccia dell'opera, quella della spettacolarizzazione forzata giocata sull'impressionabilità dello spettatore attraverso immagini oltre il limite e prettamente inutili ai fini della trama. Probabilmente ci si perderebbe l'esperienza emotiva che il film cerca di proporre proprio con il suo vortice di sensazioni contrastanti. Eppure in alcuni momenti l'autocitazionismo e autocompiacimento del regista sono quasi fastidiosi, come se ad un certo punto si perdesse di vista il nucleo dell'opera a favore di un puro godimento estetico. Ma non per chi guarda, ma per chi dirige.

Sicuramente dei punti a favore risiedono nel cast e nelle ambientazioni. Ottimo il primo (Dafoe particolarmente ispirato, insieme a una Gainsbourg commovente nella sua sofferenza), suggestivi i paesaggi e le situazioni che in un certo senso richiamano atmosfere alla "Shining" e ad altri film di genere (anche "Blair Witch Project", mi è sembrato). Mediocre invece il tentativo di dare un senso esoterico alla vicenda, infarcendo la pellicola di simbolismi e particolari che il più delle volte risultano o eccessivamente ermetici (es: gli animali che compaiono) o, quando espliciti, addirittura banali e scontati. I momenti psicanalitici sono un po' deboli: si fa uso di psicologia da supermercato messa lì alla buona, senza un'effettiva  necessità. Per non parlare poi della forte carica misogina che pervade alcuni momenti. Apprezzabile invece la scelta di eliminare ogni distrazione sonora per permettere di vivere meglio il contesto naturale della vicenda e i dialoghi dei personaggi.

Peccato, perchè l' "Antichrist" del titolo poteva fermarsi a metafora, e non divenire un elemento superfluo che strizza l'occhio agli amanti del demoniaco e dell' occulto. Perchè in realtà di horror ce n'e ben poco, essendo soprattutto un film psicologico sul dolore e sull'ineluttabilità degli eventi.  Negli ultimi 30 minuti infatti Von Trier, ebbro della sua stessa arte, perde il controllo e l'equilibrio alla ricerca del finale memorabile, che tuttavia è quasi parodistico, salvato forse da un epilogo più evanescente.

In definitiva, un opera pienamente alla Von Trier. Da leggere a più livelli, sicuramente da vivere come un'esperienza emotiva più che un film vero e proprio. Un'opera visivamente appagante il cui valore rischia più volte di rimanere a livello estetico, sormontato dalla minacciosa ombra dell'ego smisurato dell'autore, che cerca consenso e ammirazione per 100 e passa minuti.

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