Dogville - Homo homini canis
Von Trier mette in scena la primordiale natura cannibalesca delle relazioni sociali, natura che millenni di civiltà non sono riusciti a eradicare ma solo a ingentilire con un soprabito di buone maniere sempre pronto a volar via. Il regista danese batte nuovamente sul suo chiodo fisso, abbandonando l’ironia a favore del sarcasmo, che dell’ironia però è una sorta di fratello scemo.
Il set è ridotto all’osso; Von Trier vuole forse concentrarsi sul canale comunicativo, fàtico e sanamente educativo di schiaffeggiare lo spettatore medio, impigrito dalla logica hollywoodiana per cui una macchina inseguita deve prima o poi esplodere. Il risultato visivo è tremendamente efficace: "no frills", come dicono gli inglesi, niente fronzoli, perciò chi rimane sulla poltrona non ha elementi di distrazione (il décolleté della vicina di posto, forse) ed è obbligato a ragionare su ciò che vede. Una rieducazione alla "Arancia Meccanica", ma non-coercitiva e addirittura ricercata dietro versamento di 6 euro o più!
La tesi è palese in maniera spudorata: homo homini lupus (canis, a Dogville). Tesi vecchia di duemila anni (Plauto) che sintetizza una certa visione di quella repellente combriccola di canaglie che è il genere umano, sempre pronto ad approfittare dei deboli. Da allora ad oggi non sono di certo mancate cattedrali dell'odio e del disgusto verso l’uomo (pensavo a Swift, tanto per citarne uno). Von Trier fa un passetto in più, estendendo nel finale questa poco lusinghiera stigmata di umanità a Gesù e a tutto l'armamentario popolar-salvifico dell'escatologia cristiana. Yawn, yawn… c'è ancora spazio nel 2003 per provocazioni blasfeme? (esempio di domanda retorica)
E a proposito di retorica, è proprio la tecnica retorica il punto più debole del film. Dopo il primo piacevole assaggio, ecco che appare l'unica strategia che verrà utilizzata per il resto del'opera: la caricatura sarcastica, in chiave cinica ovviamente. Utilizzando la stessa accetta con cui ha sfrondato il teatro di posa, Von Trier rivolge la sua lucida furia di riduzione ai minimi termini allo script e ai personaggi. Il risultato è un film piatto e a tratti insopportabile, fatto di sagome bidimensionali, sia disegnate sul pavimento che recitanti. Durasse mezz’ora sarebbe una buona opera a tema.
Voto due e mezzo.
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