Non fraintendetemi. Adoro Von Trier. Lo amo con tutta la mia forza, con tutta la mia passione, con tutto il mio cuore. Anzi, sono pienamente convinto, che rientri a pieno titolo tra i cinque migliori registi viventi del cinema occidentale. Capace di giocare divinamente con il cinema, di distruggerne gli schemi, di reinventare, di citare, di spezzare, di rompere le righe e di andare oltre, Von Trier è il responsabile di alcuni dei più bei film europei degli ultimi anni: "Dancer In The Dark (con una magnifica Bjork), "Dogville" (con una splendida Kidman), "Manderlay", "Antichrist", "Medea" e "Le Onde Del Destino" sono solo alcuni dei capolavori da lui diretti e prodotti.
In questo clima di bellezza quasi underground, semi intellettuale e voyeur, ho sempre considerato l'arte di Von Trier spaccata a metà, in due confini: l'allucinazione e la bellezza.
L'allucinazione è il suo primo periodo. Quello che parte da "The Kingdom" e torna a ritroso indietro, sin dai primi corti (Nocturne, poesia di grottesca sublime interiorità, che termina in un finale magnifico e straziante). Ci sono capolavori in questo periodo di transizione ("Medea", "The Kingdom"), esperimenti snervanti, ma convincenti (Epidemic), film difficili ma affascinanti (Europa) e poi c'è "L'Elemento Del Crimine": quello che considero la pecora nera di un'immensa filmografia pieno di ricchezza cinematografica. Un film irritante (e uso un eufenismo) e tutto giocato sull'uso dell'estetica, sulla confezione.
E' l'esordio al lungometraggio, ma nonostante tutto Von Trier è pienamente convinto delle sue capacità. E come dargli torto? Ogni inquadratura, ogni frammento, ogni gradazione di colore (seppia) è un colpo geniale. Il solito ghirigoro nel firmamento della settima arte. Come solo i geni sanno fare...
Eppure la prima impressione a saltare in mente, guardando questo film, è che Von Trier si sia guardato allo specchio e si sia specchiato nella sua bravura, nella sua consapevolezza di riuscire a catturare la vita, la morte, il malsano con ogni suo fotogramma. Con l'ausilio di una telecamera. Con il gioco di ombre e luci. Inutile dire che il film che ne esce è un'esperienza più che cinema. E' un film regnato da una lentezza assurda, straniante, ma completamente esasperata e, appunto, allucinogena. Non è quella lentezza fascinosa di certo cinema autoriale, che trova nella lentezza e nell'immobile il suo punto di forza. Qui è una lentezza che scaturisce in noia. Noia pura. E il desiderio di sprofondare nella poltrona è assillante.
Ciò che arriva ai nostri occhi è, solo all'apparenza, un thriller intrigante, fantasmagorico, onirico e surreale, ma che ben presto si trasforma in un turbine infernale. Che penetra nel cervello e fa impazzire, conducendo nella follia più sconvolgente. Violenza visiva pura, senza l'uso della violenza concreta.
Dopo quaranta minuti il cervello comincia già a friggere e ti senti morto. Il desiderio di distruggere lo schermo con una pala è inevitabile, ti si afferra alla gola con le sue fauci e non molla la presa, tanto da essere colpito da improvvise crisi epilettiche.
E' un viaggio nell'LSD in cellulosa, talmente pretenzioso e sfaticato da risultare destabilizzante. Un viaggio nella mente contorta di un artista che si rivela uno dei più alti intenditori di cinema del mondo, sempre pronto a studiare e a distruggere il cinema. Sempre al di là della linea di confine.
E' bello vedere, comunque, che c'è gente in grado di apprezzare una tale esperienza. E' bello vedere che c'è qualcuno con un mucchio di coraggio e passione per godersi ogni fotogramma di questo film, che giudico assolutamente improbabile.
Io sono troppo fragile lo so, ma prendo una manciata di polvere di stelle e mi rivedo "Dogville". ^____^
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