"La melanconia è psichicamente caratterizzata [...] dalla perdita della capacità di amare, dall'inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento del sentimento di sé che si esprime in autorimproveri e autoingiurie e culmina nell'attesa delirante di una punizione" [Sigmund Freud, Lutto e melanconia (in Metapsicologia)]

Su Nymphomaniac di Lars von Trier è già stata scritta, qualche anno fa, una recensione su Debaser. Dunque perché scriverne un'altra? Perché, dopo averlo visto per la sesta o settima volta, ho pensato che fosse interessante vedere un punto di vista leggermente differente rispetto a quello dell'utente che ha scritto la precedente recensione, analizzando magari degli aspetti differenti.

Il film ripercorre la vita, dall'infanzia al presente, di Joe (una mostruosa Charlotte Gainsbourg, in età adulta, ed una bellissima Stacy Martin, da giovane), una donna affetta da ninfomania, che la racconta ad un uomo solitario, Seligman (Stellan Skarsgård). Non mi va di raccontare per filo e per segno ogni singolo episodio, perché credo che quello della scoperta sia uno dei piaceri più grandi e non vorrei privarvi di tale piacere.

Nymphomaniac è il terzo capitolo della cosiddetta "trilogia della depressione", iniziata nel 2008 con Antichrist e continuata nel 2011 con Melancholia, e, a mio avviso, è quello più pesante, quello che trasmette più sensazioni negative, dipingendo un mondo completamente corrotto dal male e dall'egoismo, dalla mancanza di amore, anche laddove ci si aspetterebbe di trovarne. E pure quando Joe trova qualcuno da amare, questi, puntualmente, la abbandona o la tradisce (in questo senso, il finale è assolutamente agghiacciante). L'atmosfera che permea tutte e quattro le ore di questo film è glaciale, ancor più che quella dei due capitoli precedenti, sin dalla primissima sequenza. Tutti e tre i film, infatti, iniziano con una sequenza di una bellezza ed un'eleganza che nel cinema contemporaneo si trova raramente. Tuttavia, le scene incipitarie di Antichrist e Melancholia sono sempre accompagnate da una colonna musicale, mentre quella di Nymphomaniac è senza musica, tutto ciò che sentiamo sono suoni diegetici che raccontano un posto isolato, freddo e deprimente (come la vita che Von Trier rappresenta in questo film), fino al momento in cui per la prima volta vediamo un dettaglio di Joe: solo allora entra in gioco la musica, che, però, non è un'opera classica (in Antichrist c'era l'aria Lascia ch'io pianga del Rinaldo di Händel; in Melancholia, il preludio al Tristano e Isotta di Wagner) , ma un pezzo industrial metal, una canzone dei tedeschi Rammstein, Führe mich, altro indizio della maggior crudezza e durezza di questa pellicola.

Sono un pessimo essere umano.

Queste sono alcune delle primissime parole che Joe dice a Seligman, quando questi la porta al sicuro in casa propria, dopo averla trovata malridotta in un vicolo poco lontano. Questa frase, e molte altre future, rivelano un aspetto psicologico estremamente importante, che tutte e tre le protagoniste della trilogia della depressione condividono: quella che Sigmund Freud chiama Melancholie, la melanconia, e che descrive con le parole che ho riportato a inizio recensione. Ora vorrei analizzare punto per punto la definizione di melanconia che Freud dà, in relazione alla nostra protagonista: dunque, da ora in poi, saranno presenti degli SPOILER che, se non avete ancora visto questo capolavoro, vi consiglio di evitare.

La perdita della capacità di amare diventa evidente in Joe dopo la morte del padre (sebbene sin dalla giovinezza lei, insieme alle sue amiche sessodipendenti, aveva organizzato un gruppo che si opponeva dichiaratamente alla società basata sull'amore) e si riflette in tutti i rapporti con gli altri: tutti i rapporti che, a fatica, era riuscita a costruire si sgretolano, o per colpa della libido insaziabile di Joe (come nel caso di Jerome e del loro figlio, che abbandona per non rinunciare alle sedute di K, un esperto "picchiatore" da cui le donne vanno per farsi fare del male) oppure perché la tradiscono, ad esempio P, la giovane ragazza che accudisce come una figlia dopo aver iniziato la sua carriera di recupero crediti; o, ancora, tutti gli amanti di Joe, prima dell'amore per Jerome, credono che lei li ami, tanto che uno di loro abbandonerà la sua famiglia (moglie, Uma Thurman, e tre figli) per restare con lei... e quando la Thurman fa visita a Joe, insieme ai tre bambini, la protagonista è costretta a dire la verità ("Io non amo vostro padre", dopo che aveva detto a lui "Io ti amo troppo"). L'amore è un sentimento fantasma nella vita di Joe: o non c'è oppure, quando c'è, svanisce dolorosamente.

L'avvilimento del proprio Io, si manifesta durante il dialogo di Joe con Seligman, durante il quale lei continua a parlare male di sé, dipigendosi come un mostro, un pessimo essere umano. E, se vogliamo, la violenza contro sé stessa a cui è costretta a sottoporsi dalla sua sessodipendenza potrebbe essere vista come una punizione che, inconsciamente, il suo Io vuole infliggerle per la sua malvagità.

Il continuo accostamento tra il racconto degradante della vita di Joe ad aspetti culturali portati alla nostra attenzione da Seligman, a mio avviso, potrebbe sottintendere quanto il mondo culturale moderno sia in decadimento, diventando squallido e completamente negativo, tanto che Joe ignora spesso le incursioni del suo interlocutore e, quando non lo fa, le critica (come nel capitolo "The Eastern and the Western Church (The Silent Duck)", in cui Seligman prova ad indovinare che tipo di nodo K utilizzi illustrando la storia di un alpinista, alla quale Joe risponde dicendo "Questa è stata la sua incursione più debole" (recito a memoria, probabilmente non ha utilizzato queste esatte parole). Quando la cultura prova a penetrare nella nostra vita, tendiamo ad evitarla o a denigrarla, poiché tutto il mondo moderno è in lento ed inesorabile decadimento.

Discutere dell'aspetto tecnico di questa opera d'arte è quasi inutile: Lars Von Trier raggiunge qui il suo apice stilistico, sfornando una prestazione registica veramente straordinaria, migliore persino di quella di molti altri suoi capolavori (come i capitoli precedenti della trilogia o "Dancer in the Dark"), la fusione di immagini diegetiche ed extradiegetiche, che diventano un tutt'uno: i Rammstein, nella canzone che si sente ad inizio film, dicono "Zwei Bilder nur ein Bild", due immagini in un'immagine, esattamente quello che fa Lars in questo film (si pensi alla descrizione di alcuni suoi amanti nel capitolo "The Little Organ School").

P.s. Io non sono uno psicologo né studio psicologia ma questo è un ambito che mi interessa e, dunque, mi piace leggere e approfondire argomenti di psicologia: dunque, quanto ho scritto in questa che è più un'analisi che una recensione potrebbe essere tanto un'argomentazione fondata quanto totalmente campata per aria.

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