Corre l'anno 1994 e il regista Lars Von Trier debutta nel mondo della televisione con un film destinato a diventare serie televisiva dal titolo Riget, trasmesso in 4 puntate in Danimarca e in 5 in Italia. Si tratta di un telefilm horror (anche se, vedremo, forse non è del tutto corretto definirlo in questo modo) ambientato nel più grande ospedale della Danimarca, "Riget" appunto, che significa "regno".

Quando una paziente (o pseudo-tale) sente il pianto di una bambina nell'ascensore dell'ospedale, iniziano ad intrecciarsi una serie di eventi che porteranno a situazioni assai degne di nota. Reputo che sia conveniente parlare brevemente di ogni episodio separatamente, facendo riferimento alla versione italiana, per poi notare alcuni tratti comuni e trarre le somme sull'opera in sé.

Partiamo dunque col primo episodio. A parte un'introduzione alquanto enigmatica che anticipa la breve sigla comune a tutti gli episodi, si inizia subito col botto, presentando un primo fenomeno paranormale nei pressi dell'ospedale. Ovviamente, molte delle cose che vedremo in questo primo episodio saranno chiare solamente più avanti, e questa non fa eccezione. Spicca subito la colonna sonora, forse un po' ripetitiva nel corso dei cinque episodi, ma comunque ben fatta e soprattutto adeguata al contesto. La regia vede un Von Trier più misurato rispetto ad altri lavori, con inquadrature più tradizionali e dinamiche generalmente più posate. I primi minuti all'interno della vita quotidiana dell'ospedale sono prettamente funzionali all'introduzione dei personaggi principali, e risultano pertanto molto affrettati, saturi, anche confusionari se vogliamo. Ma, a conti fatti, sono assolutamente necessari ad afferrare, già in tempo per il secondo episodio, i tratti principali delle personalità di ogni medico e non. Abbiamo quindi il primario Helmer, irrimediabilmente infame e con la battuta tagliente sempre pronta, svedese e in quanto tale in continuo contrasto con i suoi colleghi danesi e con le usanze del luogo; abbiamo l'anziana signora Drusse, che è fondamentalmente una medium o qualcosa di molto simile, che si finge malata per praticare sedute spiritiche con i pazienti dell'ospedale; c'è il leale ma sottomesso dottor Krogshøj e una serie di colleghi dai nomi più o meno impronunciabili che si presentano largamente fin da subito. Appare fin da subito delineata anche una delle tematiche chiave della trama: la scienza contro la spiritualità. Il dottor Helmer in primis si presenta infatti come totalmente avverso ad ogni tipo di superstizione, persino quando gli si parla di ipnosi rimane impietrito. Si tratta dell'emblema di una categoria di persone che dovranno presto vedersela con il soprannaturale, in un modo o nell'altro, e che proprio per la loro rigidità mentale saranno messi alla prova. Vengono anche introdotti due ragazzi affetti dalla sindrome di down che, mentre lavano i piatti (forse nello stesso ospedale) fungono da narratori per l'intera vicenda, inserendo anche qualche frase emblematica qua e là per sottolineare un momento particolarmente significativo. Dopo aver messo in chiaro i tratti principali dei vari personaggi e aver avviato le singole vicende in modo più o meno evidente, ma ancora molto solitario, la puntata lascia spazio ad un po' di sano nonsense (o almeno appare tale per il momento), accennando anche ad un tripudio di fenomeni inspiegabili che diverranno leitmotiv dei successivi episodi. Nei titoli di coda figura un giovane Von Trier che tira qualche somma e ringrazia i telespettatori, invitandoli a continuare a seguire la serie.

Se dopo il primo episodio avere dell'amaro in bocca è pressoché inevitabile, col secondo si raggiungono picchi forse unici nell'intera serie. Tutto ciò che pareva scollegato e apparentemente casuale nel primo episodio inizia a risultare interconnesso con gli altri avvenimenti, e le vicende dei singoli personaggi vanno sviluppandosi ulteriormente, aggiungendo all'atmosfera mediamente da vita quotidiana del primo capitolo delle ben più forti sterzate sul lato orrorifico e, soprattutto, si inizia ad intravedere quella che è a mio avviso la vera natura dell'intera opera: una dinamica fondamentalmente thriller, tinta di toni inquietanti e horror e condita infine con qualche tocco di humor nero, che toccherà i picchi nell'ultimo episodio ma permeerà in parte tutta la serie. Inizia ad intravedersi qualcosa di inquietante anche nelle dinamiche di tutti i giorni: durante un'operazione al cervello il paziente inizia a cantare misteriosamente e al risveglio dice di aver visto una bambina durante l'operazione, per esempio. La vecchia intanto si prodiga, contando sull'esilarante quanto disarmato figlio Bulder (che lavora nello stesso ospedale come portantino), a trovare uno spirito infelice che si manifesta nel Regno, sperando di poterlo aiutare a raggiungere l'aldilà. Anche le relazioni tra i singoli personaggi sono approfondite, e in qualche caso le storie iniziano ad intrecciarsi in modo evidente, e chi sembrava essere irrilevante fino a questo momento acquisisce una certa importanza all'interno del plot, magnificamente orchestrato da Von Trier e soci. Ancora una volta, è sul finale che la questione inizia a farsi veramente intrigante… la cosa tremenda che però bisogna dire su questo, è che la versione italiana risente della divisione diversa da quella danese in queste occasioni. Ovvero, per avere 5 episodi da circa 50 minuti anziché 4 da 60 minuti circa, chiaramente è stato necessario tagliare gli episodi in modo diverso. Ma essendo i finali concepiti per essere tali e null'altro, avviene che alcune scene prima del finale vengono tagliate e inserite poi in qualche modo all'inizio del successivo, o spesso, ancora peggio, viene proprio rimontata la parte finale dell'episodio in modo da donargli un senso compiuto, ma sacrificando alcune scene che vengono inserite in altri contesti. Ne risulta che, per esempio, invece di avere una scena in cui avvengono 4 cose intrecciate contemporaneamente, noi vediamo che ne avvengono due, mentre le restanti due vengono spostate all'episodio successivo, talvolta senza spiegare che sono tuttavia accadute su un piano cronologico diverso. Il tutto risulta fuorviante e, anche se in generale con la visione della versione italiana non si incorre in evidenti contraddizioni, il rimontaggio delle scene e, più in generale, la riorganizzazione della serie rispetto alla concezione originale, sacrifica alcune dinamiche ben pensate presenti nell'edizione danese, oltre a risultare in ogni caso come una violazione dell'idea originaria del regista. Il ché è a mio avviso deplorevole, ma giacché è un problema della distribuzione più che degli autori, non ne terrò grande conto.

Col terzo episodio si entra in fase di dipendenza. Se tra il primo e il secondo meditavo di prendermi una pausa o addirittura proseguire un altro giorno, e tra il secondo e il terzo quantomeno si poteva considerare di spezzare la visualizzazione in due parti più o meno simmetriche, dal terzo in poi la prosecuzione non è più in discussione. Si parte con i seguenti e basta, mediante riflessi innati. Anche se forse nessun altro episodio sarà in generale riuscito come il secondo, da questo momento in poi le vicende si mescolano con tanta maestria da rendere impossibile l'attesa per scoprire cosa avverrà in seguito. Tra una scena inquietante e l'altra, le domande iniziano a trovare risposte, e se non risposte almeno qualche strada da seguire. Il picco è anche qui il finale (che non è tuttavia finale nella versione danese), in cui, per motivi diversi, gran parte dei personaggi si trovano a dover accedere segretamente all'archivio dell'ospedale. Il ché dà origine a scene di grande intensità e talora anche così assurde da risultare comiche. Questo terzo episodio è peraltro l'unico che non termina col botto o in modo particolarmente inquietante. Termina sì in una fase importante e movimentata al punto da invogliare a procedere, ma si vede che non si tratta del suo finale naturale (soprattutto per il fatto che il vero finale del terzo episodio originale, un punto di svolta per l'intera vicenda, comparirà invece totalmente a caso nel bel mezzo dell'episodio seguente).

Ormai, giunti al quarto episodio, il problema del rimontaggio è insormontabile, e la versione italiana è in ritardo di quasi una puntata intera. Ne deriva il solito sfasamento di cui non è il caso di continuare a parlare. Le vicende, ormai quasi completamente intrecciate, iniziano a prendere spesso una piega malata: c'è il medico che decide di auto-impiantarsi un fegato con un tumore per poter avere il diritto di donare tale organo alla ricerca (di cui si occuperà personalmente), cosa che la famiglia del paziente a cui appartiene tale fegato malato non accetterebbe di fare; c'è il primario che deve nascondere o distruggere un rapporto di operazione che renderebbe palese un suo errore che ha portato alla disabilità una bambina, e messo alle strette prova addirittura ad ingoiarlo; si scopre la ragione malsana per la quale lo spirito cercato dalla signora Drusse è imprigionato sulla terra; tutta una serie di situazioni al limite con l'assurdo ma che, a detta del regista, sono assai meno allucinanti di storie vere che aveva saputo sul Regno e che, se le avesse inventate lui, le avrebbe escluse dalla sceneggiatura per cercare di mantenere un minimo di credibilità. Iniziamo a notare anche alcuni effetti speciali prodotti in modo raccapricciante e che risultano guardabili soltanto se si pensa che stiamo assistendo ad una serie televisiva non certo di altissima visibilità e della prima metà degli anni novanta. Si affacciano anche alcuni problemi etici legati al mondo della medicina, mentre risultano veramente chiari alcuni dei misteri che fin dall'inizio della serie avevano fatto la loro comparsa. Quando tutto sembra ormai volgere alla fine, le domande vengono rese ancora meno chiare con l'introduzione di qualche twist, che avrà risoluzione solo con l'ultimo episodio.

Ci si potrebbe aspettare un finale spaventoso, da una serie che sembra essersi sempre abbastanza contenuta per quanto riguarda il lato horror. E invece – starò male io – ma nell'ultimo episodio la cosa che ho fatto maggiormente è stata ridere. Tutta la tensione accumulata dopo quattro episodi, e tutti i plot in cerca di risoluzione che sono aperti… tutto questo giunge, dopo le ultime necessarie spiegazioni e i soliti intermezzi inquietanti dalle belle trovate registiche, ad un punto di non ritorno nell'ultima sezione dell'episodio. Il ministro della salute danese fa visita all'ospedale proprio mentre tutte le vicende giungono ad una fine e si intrecciano un'ultima volta. Assiste dunque ad un responsabile del dipartimento che si nasconde sotto una scrivania, ad un esorcismo nei sotterranei, ad un trapianto di fegato su un paziente non consenziente e praticato nel reparto di neurochirurgia, ad un aborto clandestino, ad un rapporto sessuale nel reparto dedicato allo studio del sonno, e chi più ne ha più ne metta. Ogni volta che una di queste cose accade si rimane estasiati davanti al tempismo del ministro, che si incastra perfettamente con tutte le vicende che abbiamo seguito fin dal primo episodio, che trovano il loro zenit tutte nello stesso momento, senza forzature. Si tratta della dimostrazione definitiva della validità del soggetto e della sceneggiatura. Per fortuna, tra l'altro, l'episodio è stato modificato in modo minimo rispetto alla versione danese, giacché si tratta fondamentalmente del quarto ed ultimo episodio dell'edizione originale, solo con una partenza spostata più in avanti, che ne sancisce la durata più contenuta. Dopo qualche risata sul finale, però, il sorriso scompare sull'enigmatico quanto traumatico finale, in cui avvengono una serie di cose nell'arco di dieci secondi che non è il caso di citare, né di comprendere, anche perché stando così le cose quest'ultimo proposito sarebbe comunque inadempibile.

Concludendo, The Kingdom è sicuramente una serie televisiva di qualità molto buona, che è comunque trasponibile in modo pressoché perfetto in un unico film di quattro ore (eccezion fatta che i finali enigmatici acquisiscono poco senso, inseriti nel mezzo di mille altre cose). Il principale "difetto" del film, per come possiamo vederlo noi, è il fatto che sia stato modificato rispetto alla versione originale per futili motivi, e che perda in questo modo parte del proprio messaggio e della propria forma originale, ma, come s'è detto, non è certo il regista a dover essere imputato di ciò. Grande punto di forza è invece la sceneggiatura, che inscena con grande precisione una trama molto complessa in modo chiaro ed intrigante, andando a interlacciare numerose sotto-trame e delineare un'atmosfera generale che potremmo definire da "horror thriller con humor nero". Tecnicamente il film non è certo dei più all'avanguardia, più che altro per la scarsa qualità delle riprese (in 4:3 e nitide fino ad un certo punto) e dei, comunque pochi, effetti speciali. La performance degli attori è in generale ottima, con alcuni picchi particolarmente notevoli, ed anche la caratterizzazione dei singoli personaggi raggiunge degli ottimi livelli, nonostante la brevità della serie. Colonna sonora e regia sono prive di sfaccettature negative denunciabili in modo evidente e la capacità dell'opera di intrigare lo spettatore si prospetta su livelli alti, anche se solo da metà della serie in là. In generale, tuttavia, non si tratta certo di un capolavoro, in quanto non offre particolari spunti di riflessione (a parte alcune critiche al sistema sanitario, riflessioni a livello etico e qualche accenno esistenziale parlando di occulto), né emozioni fortissime o idee particolarmente geniali. Si tratta semplicemente di una serie ben fatta e congegnata, con qualche peculiarità dal punto di vista contenutistico e formale, ma che comunque eccelle davvero forse solo nel campo della trama e dei personaggi. Ricordandoci che «la vita è fatta di due semplici cosa: il bene ed il male», consiglio comunque la visione di quest'opera, che costituirà comunque una fonte di sicuro intrattenimento e discreto interesse per i fan del thriller, dell'horror moderato, dei fenomeni occulti e delle notti insonni sentendo porte che si aprono da sole (è successo!).

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