Gli anni 80 registrarono, tra le altre cose, il boom dell'eroina iniettata nelle vene. Dappertutto, in città come in provincia, ai bordi delle strade come nei parchi, si potevano trovare siringhe usate. Tra AIDS, epatite e overdose, questa terribile droga ha causato migliaia di morti. Oggi l'eroina liquida è l'unico stupefacente in costante calo, sostituita da quella fumata e da diverse altre sostanze, in particolare quelle sintetiche.
Tra i punk di quell'epoca, molti avevano l'abitudine di bucarsi. Tra questi, c'era John Brannon, una delle voci più estreme del rock americano di tutti i tempi. Brannon ebbe seri problemi di tossicodipendenza e la mia impressione è che traducesse spontaneamente nella sua musica gli effetti del consumo di eroina. E non erano sensazioni di sballo, come quelle trasmesse da un Mick Jagger o anche, sia pur in un'accezione assai meno edonista, da un Lou Reed o da un Iggy Pop. Era pura disperazione, dolore, paura.
Quella dei suoi Laughing Hyenas era una musica triste, tragica, senza evasioni, illusioni o speranze alcune. Uno dei grandi passi avanti operati dal rock alternativo degli anni 80 rispetto a quello classico sta proprio in questo revisionismo nell'affrontare il tema della droga, che non viene più vista come un veicolo di sfogo, di ribellione, di trasgressione o come qualcosa in grado di offrire ai giovani quei piaceri e quell'eccitazione che la vita quotidianamente nega loro, ma più crudamente come una causa/effetto di un malessere esistenziale insanabile.
Come mezzo privilegiato per comunicare questo dramma, Brannon elesse il genere maledetto per eccellenza: il blues. Sofferenza, magone, disillusione, perdizione: dai tempi in cui nacque, sul Delta del Mississipi, il blues ha sempre espresso il disagio dei loser di ogni epoca nei confronti di una realtà che tende a schiacciarli e ad annichilirli, ma ne ha anche rivelato una via se non di purificazione, quanto meno di sopportazione.
Come Scratch Acid, Jesus Lizard, Pussy Galore e altre band dell'epoca, i Laughing Hyenas abbinavano la riscoperta del blues all'utilizzo del linguaggio maggiormente in voga ai tempi, tra le band che animavano l'underground statunitense: il noise-rock. E così, le urla strazianti, compassionevoli, infernali (quasi un growl) di Brannon, venivano accompagnate da una sezione ritmica (Kevin Strickland, Jim Kimball) robusta, sincopata, avvolgente, e da una chitarra estremamente versatile (Larissa Strickland), tanto debitrice della new wave inglese più allucinata ed aspra (Joy Division e soprattutto P.I.L.), quanto capace di porsi intelligentemente al servizio delle evoluzioni della voce. Sotto questi aspetti, i Laughing Hyenas suonavano un pò come una versione rallentata e riflessiva dei Die Kreuzen (misconosciuta hardcore band di Milwakee, contraddistinta dalla voce terrorizzante di Dan Kubinsky, a cui Brannon si ispirò), mentre mi pare assai ridotta, al contrario di quello che si dice, l'influenza dei concittadini di Detroit, Stooges ed MC5, i padri del "rock estremo".
Il loro primo LP, "You Can't Pray A Lie", uscito nel 1989 contiene 8 brani, di un'intensità quasi insostenibile. Hanno tutti un buon motivo per colpire al cuore e allo stomaco, e vanno assorbiti senza distinzioni, come un sofferto ma necessario rituale. Credo tuttavia che sia possibile isolare un capolavoro: "Lullaby And Goodnight", vertice di desolazione, implorazione, pietà, con il giro di basso più derelitto di sempre, i gemiti della chitarra ad accompagnare i lamenti di Brannon e un finale sconvolgente. "Love's My Only Crime" è invece il loro apice formale: groove ipnotico, canto inviperito (quasi una versione monocorde del grande Nick Cave), una chitarra che talora si increspa, si acuisce e si fa sinistra, un attimo di requie prima della carica finale. Poi c'è "Black Eyed Susan", un fuoco che si affievolisce e si rinvigorisce repentinamente, in cui si fa strada un'atmosfera di ansia e terrore. "Sister" e "Desolate Son" acquistano sorprendentemente una grandeur e una magniloquenza affine a certo metal (death o gothic). E se nell'ossessiva "Seven Come Eleven" la voce di Brannon raggiunge il culmine del suo fervore, nella rassegnata "Dedications" sale in cattedra la sezione ritmica, con un instancabile lavorio dai sentori jazz. La chiusura è affidata a "New Gospel" che parte tesa, angosciata, feroce, per sfociare in un refrain finalmente catartico.
Un disco di notevole ispirazione, di minimi mezzi e di grande espressività, consigliato non solo a chi è alla ricerca di perle nascoste nel sottobosco degli anni 80, ma anche agli appassionati del blues più viscerale.
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