Non vi inganni il titolo del singolo che ha aperto le porte a questa nuova creatura dell'eclettica cantautrice italiana, balzata due anni or sono agli onori delle cronache tricolori con il sorprendente debutto "Okumuki" e con la partecipazione all'edizione 2006 del Festival di Sanremo, durante la quale venne presentato il bellissimo ed indimenticabile inedito "Irraggiungibile".
"Non è una favola" esso recita, ma basta poco per smentire tutto: L'Aura è tornata con un album meraviglioso che del debutto ripristina la dimensione onirica, le digressioni fanciullesche e la sperimentazione in campo alternative rock, amplificandone con risultati eclatanti l'impatto. L'ugola felina della padrona di casa estrapola dal proprio vasto bagaglio tecnico sentimenti contrastanti: malinconia e letizia, serenità ed inquietudine, immortalandoli abilmente in una lunga serie di eccezionali ossimori, trasvolando i confini delle umane percezioni materiali e catapultando l'ascoltatore direttamente in un chimerico ambiente fuori moda dalle ottocentesche consuetudini. Meravigliati da tutto questo? Non è proprio il caso di esserlo: la nostra L'Aura si è sempre dichiarata ispirata da tantissime fonti musicali (rock, metal estremo e darkwave tra i generi preferiti) ed extramusicali (la natura e la magia tra le altre) ed ha già avuto modo di dimostrarsi avanguardista d'eccezione ed autrice di melodie che sanno essere originali e tutt'altro che di facile fruizione (cosa rara ai tempi nostri, soprattutto in Italia), nonostante in molti continuino a paragonarla ad Elisa, oggi come mai prima d'ora favorevole alle alte posizione in classifica.
È un breve canto dal sentore folk ad introdurci negli impervi sentieri di "Demian": pochi versi dedicati al vento, declamati in lingua francese, contribuiscono a ricreare sin da subito un'atmosfera fatata destinata a spezzarsi solo nel momento in cui questi sublimi quarantatre minuti di vera musica d'autore sfumeranno nel silenzio. Dopo l'ancestrale preludio intitolato "Le vent", possiamo finalmente renderci conto che la favola di L'Aura è cominciata, grazie a "One", che mescola accattivante tonalità chiari e tonalità scure, chitarre rock e note di pianoforte, ma anche alla dolcezza di "È per te" e soprattutto a "Beware! The modern eye", che suggella in un refrain indimenticabile una carica rock praticamente sconosciuta a qualsiasi collega in circolazione. La successiva "I'm so fucked up I can barely walk", con i suoi rintocchi di piano ed i suoi lacrimevoli violini, tramuta la realtà circostante in scenario tardo-ottocentesco, di vittoriana perdizione, ricordando in tutto e per tutto le canzoni più romantiche dello stupendo "Opheliac" della rossa violinista Emilie Autumn. Questa dolce marcia all'interno dei labirinti del cuore e dell'anima cede poi il passo al breve e incantato intermezzo "The river", prontamente oscurato da un'irriverente "I just want to grow old", notturna e misteriosa nell'atmosfera (si possono perfino udire dei rintocchi di campana in sottofondo) ed austera nel portamento soprattutto grazie al superbo lavoro di batteria. Con un'infantile inflessione nella voce, L'Aura accompagna sbarazzina giocosi synth e sinuose percussioni dal flavour futuristico nel succitato singolo apripista: una scelta coraggiosa per lanciare l'album, un controverso ed affascinante pop sperimentale condito da caustici effetti ed allegoriche liriche (da segnalare anche il geniale videoclip da poco messo in circolazione).
"I'm with you" si lascia invece ricordare per il suo romantico candore (dai toni quasi jazz) e per i consueti ma pur sempre emozionanti virtuosismi dietro al microfono, mentre "Demian", aiutata da un superbo ed orchestrale incedere in crescendo, mette a nudo tutta la fragilità di quest'adorabile signorina, novella e sottovalutata poetessa della musica italiana nonché grandissima interprete.
Neanche il tempo di riprendersi da tanta leggiadria col simpatico cabaret-rock di "Hey hey" ed i suoi acrobatici ed imprevedibili saliscendi, che già veniamo investiti dalla fiabesca filastrocca e dall'immaginario Carroliano di "The doors", anch'essa debitrice nei confronti del genietto americano Emilie Autumn. Se tutte queste canzoni sono state per voi affascinanti e se esse hanno lasciato un piacevole ricordo nella mente, sarete concordi con me nel dire che "Turn around", la traccia che ci accomiata da questo stupendo disco, è prodigiosamente profonda e lascia senza parole: solo le lacrime riescono a descrivere l'assoluta meraviglia del testo dedicato ad una persona scomparsa ("...turn your head and laugh like you used to when you lived here, turn your head and smile, I miss you mother..."), la raffinatezza senza tempo raggiunta dall'estro di questo giovane prodigio.
Già "Okumuki" aveva mostrato le avvisaglie di un'arte destinata a trascendere qualsiasi barriera imposta dal target commerciale del genere suonato, ma stavolta è proprio il caso di gridare al miracolo e contemplare questo assoluto capolavoro, lodando l'operato di un'artista che sta ormai sorprendendo tutti, diventando sempre più grande, ispirata, esperta, romantica e sofisticata. In poche parole unica.
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