Esistono etichette musicali, che, pur partendo dal sottosuolo, finiscono inevitabilmente, con il tempo, per ampliare i propri orizzonti (ed incassi), arrivando a produrre artisti eterogenei e diversi tra di loro, che poco hanno in comune con quelli originariamente spinti dalla label stessa.

La XL Recordings rientra a pieno titolo nella categoria sopracitata: nata nei primi anni '90 dalle ceneri della defunta City-Beat Records, si interessa fin da subito alle sonorità elettroniche più "estreme" del periodo (come l'Hardcore, neonato ed allora in voga), assoldando tra le proprie file personaggi del calibro dei Prodigy, che ricevono grandissima visibilità e successo, permettendo, così, alla XL, di crescere, e divenire, ben presto, una delle più importanti labels a livello europeo e mondiale. Il resto è storia recente: la XL si apre alle evoluzioni del mercato discografico, fa firmare ricchissimi contratti ai vari Badly Drawn Boy, White Stripes, Dizzee Rascal, RJD2, e comincia a far paura ai grandi colossi del settore, come la Virgin e la Universal.

Al di là dei nomi più eclatanti e famosi, è possibile scovare, nella copiosa discografia dell'etichetta inglese, artisti meno noti e di nicchia, che, pur essendo ben conosciuti dagli appassionati più attenti, tuttora non raggiungono riconoscimento e visibilità meritati.

Tra di essi, saltano subito agli occhi Layo & Bushwacka!, duo inglese formato da Layo Paskin e Matthew Benjamin, due DJ e producers provenienti da una lunga gavetta nell'underground musicale, che li porta, dapprima, a calcare, nel ruolo di selecta, i dancefloor più esigenti e "cool" della Gran Bretagna, e, poi, a vestire i panni di musicisti, con la pubblicazione di una serie di 12" di discreto successo. Subito dopo l'uscita del loro album d'esordio, "Low Life", i due vengono notati dai talent-scouts della XL Recordings (guarda un po'!), ed il gioco e fatto: nel 2002 esce "Night Works", il loro secondo disco ufficiale, in cui approfondiscono ulteriormente il loro ispirato mix di Breakbeat, House, Downtempo, Dub e sonorità soffuse, grazie all'aiuto di una produzione senza dubbio più curata ed efficace, rispetto al loro lavoro precedente.

Il disco, nelle sue 14 tracce (per poco più di 48 minuti di musica), ben sintetizza l’eclettico stile del gruppo inglese, ed illustra in maniera efficace il sapiente uso dell’Elettronica da parte dei due produttori, ricercato, consistente, ma mai scontato o eccessivamente snob.

Dopo i fruscii e le inquietanti atmosfere ambientali dell’intro “Vinyl”, e la commistione di nervoso Breakbeat, scratches, e suoni evocativi di “Ladies & Gentlemen”, si passa alla prima traccia vera e propria, “Shining Through”, sette minuti di battiti regolari e coinvolgenti, percussioni indiavolate, e tappeti musicali notturni, che ricordano quasi i Chemical Brothers meno acidi. Da applausi. I passaggi trasognati ed arabeggianti dell’interludio “Sahara” fanno da preludio ai broken-beats ed all’atmosfera soffusa ed ipnotica della bellissima “We Meet At Last”, con il suo basso spigoloso a farla da padrone, mentre la breve e sospesa “Mainlining” fa da preludio a “Let The Good Times Roll”, altro pezzo in punta di piedi, sempre sul punto di esplodere, ma mai terminante in una vera e propria deflagrazione, che ben riassume le capacità dei nostri, dietro pc, campionatori e drum machines. Magnifico. Con “All Night Long” l’ago della bilancia si sposta maggiormente verso l’House e le casse pari, in un tripudio di acidi innesti elettronici e suggestioni psichedeliche di grande impatto, mentre i sette secondi dello skit “Strike” precedono il fantasmagorico caleidoscopio di suoni delle fumose “Sleepy Language” e “Blind Tiger”, in cui diviene forte l’influenza del Dub e dell’Hip-Hop più oscuro. Perfette da ascoltare in cuffia, di sera, in giro per un’affollata metropoli. Ancora una brevissima traccia, “Automate”, prima delle due tracce conclusive, “Love Story”, ottima per i dancefloors più intelligenti, e la conclusiva “2MRW”, piena di silenzi, sincopi, vuoti, che chiudono in maniera più che degna un lavoro compatto e scorrevole, dall’inizio alla fine.

In definitiva, “Night Works” è un disco che si lascia piacevolmente ascoltare, e che, pur non essendo privo di difetti (la durata un po’ esigua, l’eccessivo numero di interludi non sviluppati in pezzi veri e propri), si eleva nel marasma di uscite discografiche degli ultimi anni.

Poco importa, insomma, se l’album non abbia ricevuto il successo sperato, ed abbia spinto la XL a “scaricare” i due talentuosi producers: pare sia arrivato finalmente il momento di dare a Layo & Bushwacka! una seconda chance.

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