Il buio, quello vero, quello delle strade con attorno solo campagne. Quella nebbia, sempre uguale, sempre la stessa, che sia dicembre o maggio, che siano le sei di mattina oppure le tre di notte.
Qualunque sia il tuo destino, le aspettive, i sentimenti. È lì, da millenni. È la Via Emilia. È la strada statale che collega Ferrara, la stupenda città natale di Vasco Brondi, a Bologna. La provincia alla città, al tutto, al mondo.
Sulla Via Emilia i tratti desolati si alternano ai paesini che attraversa, isolati, quasi persi nel nulla. Come fossero costellazioni di un universo, di dialetti e storie, la tradizione, e con essa l'immobilità di un mondo. Piccole luci nel buio.
Costellazioni con pianeti, sempre più lontani, sempre più persi nella loro orbita, nel loro alternarsi di fasi, di inverni ed estati, rivoluzioni. Quelle della droga lasciata alle spalle, di Chiara, e la sua vita da vecchia fuorisede, ora tormentata. La sua Via Emilia è il binario uno della Stazione di Bologna, il treno intercity che porta a Caserta, la rimozione di quell'inconscio che la trasporta nella sua terra, nella coscienza di un abbandono delle radici, i ragazzini che muoiono nella sua provincia. Un po' come quella di Sara. Non è l'interpretazione dei sogni, è la dura realtà di un incubo, quella di "Le ragazze stanno bene". Gli anni che passano, la responsabilità, lo scontro con la voglia di vivere la vita come in una festa, anche quando la stessa è finita. Anche quando è epilogo crudele, spietato.
Paesini che ospitano storie di distanza, quella de "I Sonic Youth", un amore lontano per via del lavoro, che separa, e con esso i ricordi di quei piccoli isolamenti adolescenziali, lo studio, gli Smiths da tenere nel cassetto dell'intimità, lontano dal Bar Sport.
Luoghi dove non è raro trovare bar persi nel nulla, come fossero meteoriti sparsi in mezzo al niente. Le luci rosse fuori, dentro storie di rimozione, alcolismo, festa. Fuori le droghe, tra le macchine parcheggiate nel fango, la noia che aleggia nel fumo del crack.
"Costellazioni" sfuma nel finale, nei ricordi del recente passato, prima che i buchi neri del Padre Nostro della moderna bulimia mediatica assorbisse tutto, lasciando un rumore bianco in sottofondo, il nulla delle opinioni, delle nostre chat, dei nostri messaggi, delle news da duecento battute. Quello che c'era, così apparentemente lontano, quanto puro. I Ciao che correvano sulla Via Emilia, e con essi le utopie, la tenerezza. Anni di un'innocenza ancora non perduta, nonostante le droghe e le ragazze madri, storie di piccole fughe d'amore, lungo una Via Emilia che legava amori e speranze, le feste di sabato sera di compagnie oramai perse. Il domani non come una minaccia, ma come meraviglioso mistero del futuro. Da affrontare, da scoprire. Senza paura. In un album nel quale tutto appare perso, perduto nel buio di una strada. È un mondo scomparso, che ha lasciato il posto alla desolazione di paesi con bar dai videopoker affollati di vecchi, sambuca, quell'unica stradina.
Un'artista che mostra di aver trovato una sua quadratura, in questa dimensione più descrittiva, d'altri tempi. Un'ora e mezza, e stai lì. Ancora a respirare la faccia oscura di quella realtà, lontana dall'insopportabile retorica da Bar Mario. Vasco Brondi ci racconta la sua luna ed i suoi falò, il suo universo oramai perduto nella solitudine delle quotidianità contemporanea. Quello che una volta racchiudeva il mondo intero, ora è solo una periferia. L'ennesima. La nostalgia come morfina delle nostre inquietudini, isolate, intangibili all'altro. Come stelle, come galassie.
Lontane anni luce l'une dalle altre. In tratti di chilometri nel nulla. Una rotonda. Quattro negozi ed è una città. Qualche casa. E poi di nuovo, il niente. E tanta nebbia. Come i nostri cuori, all'ennesimo appuntamento con noi stessi, con il nostro prossimo. Come pianeti, apparentemente vicini, tanto lontani. Unici.
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