Le Orme vanno considerate come uno dei più grandi gruppi italiani rock d’ogni tempo.

All’inizio dei ’70 in tutta Europa cominciarono a spuntare come funghi nuovi complessi di rock progressivo, genere che allora andava per la maggiore; la patria del prog era indiscutibilmente l’Inghilterra, e i musicisti nostrani non potevano fare a meno di guardare ai gruppi inglesi (Yes, Genesis, ELP, Pink Floyd, King Crimson e Jethro Tull su tutti) per virare verso un indirizzo preciso il loro stile musicale; ricordando che però il prog è innovazione innanzitutto, va riconosciuto un merito ulteriore agli artisti italiani che sono stati influenzati solo minimamente o per nulla dai modelli anglosassoni e anzi hanno fatto dell’ originalità il loro trampolino di lancio.

La line-up delle Orme era quella classica, a tre, sul modello dei Nice; fino ad allora erano stati autori di uno dei più bei momenti beat italiani, “Ad Gloriam”, dai sapori vagamente psichedelici. Con Aldo Tagliapietre alla voce, al basso e alle chitarre elettriche e acustiche, Miki Dei Rossi alla batteria e Tony Pagliuca alle tastiere, all’organo e al moog, si perviene nel 1971 alla creazione di "Collage", uno dei massimi dischi rock italiani e volendo manifesto dello spaghetti-prog. Cosa dire di questo disco ? Terribilmente affascinante…

Le canzoni scorrono fluide, i cambi di tempo sono perfetti e l’oniricità regna sovrana. Dalla superba “Cemento armato”, che taluni senza ritegno hanno osato addirittura criticare per l’intermezzo strumentale, a “Sguardo verso il cielo”, forse la canzone italiana modello per il rock progressivo di lì a venire, passando dalla dolcissima e ammaliante “Era inverno”, sembra davvero che questi veneziani figli dei fiori possano farci rivivere almeno col pensiero quei fantastici anni ’70 che io non ho mai vissuto, ma che vivrò un domani semmai inventassero una macchina del tempo (emmagari). Il brano che dà il nome all’album è anche quello introduttivo: “Collage”, la strumentale che ci spalanca le porte verso il pianeta Orme, un “intro” più che un pezzo vero e proprio. “Evasione totale” sarà frutto di chissà quale magico viaggio, trattasi comunque di sperimentazione più che riuscita, in cui il saldo connubio dei tre evade totalmente. “Immagini” è quello che vedono, ossia mille cose belle, ma lei non c’è e la tristezza permea il tutto. In “Morte di un fiore” è la breve parte strumentale conclusiva a brillare, e si racconta della tragica morte di una giovane hippie.

La copertina li rappresenta come tre candide anime bianche davanti a un cimitero, ed è tra le più belle non solo in ambito prog. Nel complesso il disco ha superato di gran lunga le aspettative per un qualsiasi gruppo italiano nel ’71, e gli affibbierei il titolo di “In the court of the Crimson King” nostrano senza indugi. Più in particolare, qui non troviamo solo il rock barocco e sinfonico di Quatermass, Nice e ELP, ma interessanti retroscena dai gusti, perché no, mediterranei e… ben conditi!

"Collage" e i due successivi dischi resteranno a lungo nella storia, noi no; e allora, perché non seguirle, queste Orme di un tempo passato, questi ideali tanto puri che al giorno d’oggi sono presi per pazzie, queste storie di vita, questo sogno di libertà…

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