Ha una concezione del suono totalmente disinibita il britannico Leafcutter John, che non si vergogna di mescolare in questo album quanto di più eterogeneo, multiforme e contraddittorio si possa immaginare in un disco di elettronica dal taglio sperimentale, ma che suona leggero senza esserlo poi davvero.
 
"The Housebound Spirit" esce nel 2003 dopo una gestazione durata quattro anni. A leggere il booklet sembrerebbe di trovarsi di fronte a un lavoro suddiviso in 15 tracce (per 54 minuti di musica). Ma la divisione in tracce è virtuale, perché all'atto dell'ascolto ci si trova di fronte a un continuum sonoro quasi ininterrotto, con solo tre o quattro brevi cesure. Vi è invece un'incessante transizione da uno spunto a un altro, da un'idea che non fa in tempo a essere accennata che subito viene aggredita e rimpiazzata da una frase musicale concorrente.

Il disco è in buona sostanza strumentale, ma spesso stralunati interventi vocali vengono a irrompere nel tessuto musicale: si passa con disinvoltura dalla voce dello stesso Leafcutter John a un campionamento degli Swingle Singers. Campionamenti e sonorità elettroniche che attraversano il disco dall'inizio alla fine, ma ecco che in "House or a Soul" si fanno avanti una voce e il malinconico accompagnamento di chitarra acustica e fisarmonica.

Questo è "The Housebound Spirit", il ritratto di uno spirito che se ne sta chiuso in casa come il nostro Leafcutter, vero nome John Burton, ad affrontare i fantasmi che lo affliggono - l'agorafobia e i conseguenti attacchi di panico - riversandoli in questo lavoro: uno zibaldone che trabocca di sonorità raffinate e curatissime, dove l'elettronica è così smaliziata da accogliere senza problemi il guizzo di un flauto dolce o di un clarinetto, e dove, a dispetto dell'eclettismo sonoro di cui si è detto, l'ascoltatore è costretto a riconoscere un'intima coerenza del materiale musicale e della sua organizzazione.

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