Estate 2006: ad un solo anno di distanza dalla pubblicazione di "Vinland saga", album ben confezionato ma a volte eccessivamente freddo, tornano i Leaves' Eyes con un ep della durata di poco più di venti minuti. Il titolo e la copertina fanno presagire fin da subito un chiaro prosieguo di quelle che furono le tematiche affrontate nel concept lirico della precedente release. Infatti "Legend land" non è altro che la continuazione della saga dell'eroe norvegese Leif Eriksson, il quale, secondo la storia vichinga, sarebbe stato il primo vero scopritore dell'America, nel periodo di sconvolgimenti storici attorno all'anno 1000. Una ricostruzione del passato ricercata e documentata attorno alla quale la cantante più famosa all'interno del circuito gothic metal europeo (grazie alla militanza in una ex-band storica del genere, i Theatre Of Tragedy) ha ricamato intorno una lacrimevole storia d'amore tra una coppia vichinga fatta di versi carichi d'apprensione per colui che viaggia per mari lontani, promesse d'eterno amore che trascendono la distanza terrena e solitarie passeggiate tra le foreste e fiordi innevati della sempre splendida Norvegia in cerca di consolazione.
Peccato che quello che potrebbe anche essere un'affascinante concept a metà strada tra la letteratura rosa tanto in voga negli ultimi decenni tra la popolazione occidentale di sesso femminile e frammenti di storia medioevale consti di strutture musicali essenzialmente sterili, costanti tra un brano e l'altro e anche un po' fredde. Basti prendere in considerazione la titletrack (qui proposta in due versioni, di cui quella estesa, ricolma di parti sinfoniche, è sicuramente più interessante) che non fa che ripetere alla noia schemi già collaudati quali pletorici e malstrutturati passaggi sinfonici sopra i quali spargere come chiazze d'olio la voce sempre altissima di Liv Kristine ed il pessimo controcanto growl del marito Alexander Krull, sporcando il tutto con chitarre graffianti che a tratti rasentano il death metal (accompagnate da un basso quasi inaudibile ed un batteria monocorde che paradossalmente riesce ad essere meno espressiva di una drum-machine) per dare un falso tocco metallico all'insieme. Le cose vanno leggermente meglio con "Skraelings", grazie ad un maggiore dinamismo vocale, ma la sezione musicale resta tra le più piatte e scontate mai udite dalle mie orecchie (inutile inserire un intermezzo etnico che ricorda tanto un cerimoniale tribale). "Viking's word" è decisamente più piacevole in quanto aggraziata da morbidi sottofondi violinistici e malinconici arabeschi pianistici nonché da un magnifico contrasto vocale che inaspettatamente carica la musica dei Leaves' Eyes di un pathos dirompente che mi ha ricordato i tempi d'oro del gothic metal. Anche "The crossing" è più avvincente rispetto agli standard del disco grazie al particolare dinamismo delle chitarre, ai piacevoli effetti sinfonici, al growl più profondo ed al ritornello che possiede un certo flavour folk. "Lyset" è una più che soddisfacente parentesi atmosferica che ricorda vagamente alcuni brani del vecchio album come "Amhran (Song of the winds)" e "Ankomst".
Se quelli di queste ultime tracce saranno gli elementi su cui la band comincerà a stendere ed elaborare le idee per una prossima pubblicazione, sento già un po' d'impazienza, simile a quella che mi animava poche settimane prima dell'uscita di "Vinland saga". Per ora le premesse per produrre un nuovo e piacevole lavoro ci sono; da tempo mancano però la qualità e l'ispirazione necessarie per produrre capolavori. Chissà dove andranno a parare i Leaves' Eyes e se, dopo la pubblicazione di lavori eccelsi come quelli di After Forever e Within Temptation, saranno in grado di superare sé stessi e la concorrenza. Francamente nutro dei seri dubbi e devo proprio ammettere che è un vero peccato vedere come una delle voci più belle della scena faccia la propria comparsa praticamente ovunque nel panorama musicale odierno ma non abbia ancora trovato una dimensione che sappia avvalorarla al meglio.

Carico i commenti...  con calma