L'anno 1971 per i Led Zeppelin annovera diverse date da ricordare: la prima è una calda serata estiva, per la precisione  quella del 3 luglio in cui suonano al Velodromo Vigorelli di Milano ospiti del Cantagiro e quello che per i presenti doveva essere uno storico concerto, si rivela una vera sciagura. Il clima teso della serata è premonitore di quanto succederà, dopo che il gruppo aveva suonato soltanto tre pezzi. Tumulti tra fans scatenati e forze dell'ordine, fumo ovunque che porta la band a rifugiarsi nella sala del Pronto Soccorso, sino a che gli scontri non hanno termine e danno modo di accertarsi che palcoscenico e strumentazione risultano in gran parte distrutti. Il 19 agosto inizia quella che sarà ricordata come la migliore stagione dei Led Zeppelin, a cui seguirà il primo tour giapponese che occuperà una settimana nel mese di settembre. Ma il giorno sicuramente più significativo di questo periodo, risulterà  l'8 novembre. Giorno in cui è possibile trovare nei negozi il quarto capitolo della storia degli Zeps. Four Symbols, Zoso, Untitled e Led Zeppelin IV  sono i vari titoli dati ufficiosamente a questo lavoro, visto  che la cover (con il vecchio con la fascina sulle spalle che rappresenta la natura - il passato - e lo squarcio nel muro  e gli edifici che  seguono sul retro - il presente -, stanno a significare l'abbandono delle periferie che con l'inquinamento rovinano la natura), non riporta altre parole che possano distinguerlo.

Come per il precedente lavoro, le campagne dell'Hampshire furono il luogo preferito dalla band per mettere le basi di quello che sarà il disco che li renderà universali, mentre a vedere il missaggio finale, saranno gli Olympic e gli Island Studios di Londra, dopo che  quello che doveva essere l'ultimo assemblaggio compiuto ai Sunset Sound Studios di Los Angeles, aveva lasciato insoddisfatti tutti, primo Jimmy Page in persona.

"Hey, hey mama said the way you move, Gon' make you sweat , gon' make you groove", è la vigorosa strofa che lancia il rock selvaggio e intraprendente di "Black Dog", che dimostra quanto quel fervore che era disseminato quà e là  sul disco di esordio, erompeva senza indugi nel secondo e  che nel terzo veniva opportunamente dosato, si manifesta in questo brano sotto una nuova veste, mostrando la sua faccia più dirompente quanto naturalmente disinibita. Il riff iniziale è un'attraente scarica di note imbeccata per lo più da Jones, che si alterna quasi regolarmente  con l'ingordigia vocale di  un Plant sempre in vena di raffinati doppi sensi, che mai cadono in una premeditata volgarità. Per il nervoso assolo, Page si adopera con la sua Gibson come non mai in sede di missaggio  per una quadrupla sovraincisione,  cui il resto dell'intera traccia sarà eternamente debitore per la sua perfetta riuscita. Bonham  si scalda le mani e parte "Rock And Roll" che la storia la vuole  nata dalle ceneri di "Keep A Knockin'" di Little Richard  e da  un istintivo ed ostinato  riff, che fanno della jam session con il piano del brillante Ian Stewart (come dire il sesto membro/fantasma dei Rolling Stones!!!) un'estrosa combinazione di note ed energia, per uno dei brani che identificheranno per sempre gli Zeppelin.

Un banjo suonato da Page annuncia la principesca "The Battle Of Evermore", una ballad il cui sfarzoso arrangiamento mette in luce i remoti conflitti  in una antica Scozia di cui si canta, dove la voce sublime di Sandy Denny (Fairport  Convention) conferisce ulteriore regalità. "Stairway To Heaven" è il brano che una volta ascoltato, ogni musicista rock avrebbe voluto comporre. L'introduzione delicata della chitarra acustica subito raggiunta da un flauto dal sapore bucolico e  dalla progressiva armonia della voce, l'educata presenza della chitarra elettrica e la risoluta entrata della batteria di Bonzo, fanno risaltare minuto dopo minuto che siamo di fronte a qualcosa di mai sentito prima. Una fievole atmosfera quasi impalpabile, capace di trasformarsi gradualmente, a poco a poco che la mano di Page comincia a pilotare l'intero impasto strumentale divenuto oramai sicuro, per impadronirsene con un esaltante (multi) assolo che consente  alla veemente tempra di Plant di sgorgare e riconsegnarci un finale degno della stessa magia dei primi minuti. Al giro di boa parte "Misty Mountain Hop", contrassegnata da un martellante riff, lanciato prevalentemente da un piano elettrico e da una sei corde più temperata, che flirtano con prudenza con le liriche di un singer dalla  disposizione di animo profondamente hippy (Walkin' in the park just the other day baby, What da ya, what da ya think I saw?   Crowds of people sittin' on the grass  With flowers in their hair said  "Hey boy, do you wanna score?"   An' ya know how it is.   I really don't know what time it was,   Hoh-hoh-hoah.   So I asked ‘em if I could stay a while: Passeggiavo nel parco, l'altro giorno, baby   Dì un po', cosa ho visto?    Una folla di gente seduta nell'erba        Con fiori nei capelli, e dicevano  "Hey, ragazzo, vuoi della roba?"   E sai com'è    Non sapevo che ora fosse    Hoh-hoh-hoah.    Così ho chiesto loro se potevo restare un po'.).

Che le sorprese non finiscono mai lo conferma "Four Sticks", una traccia che esplora il versante musicale più oscuro del gruppo, dilatandone l'ossessività anche tramite la complessa tribalità del formidabile Bonham, alle prese contemporaneamente con quattro bacchette. "Going To California" abbaglia per la facilità con cui vengono solcati ed affinati  quei territori acustici,  già coraggiosamente confessati su "Led Zeppelin III". "When The Levee Breaks" (la cui versione originale risale al 1929 e porta la firma dei coniugi Kansas Joe Mc Coy e Memphis Minnie) arricchita  da una nuova veste, il cui più consistente contributo viene  da un incisivo  bottleneck  e un'amabile armonica a bocca, che rinvigoriscono  con quella personale genialità un canonico blues, riuscendo abilmente a dare una inevitabile impennata qualitativa all'intero lavoro.

"Untitled" (..il più legittimo tra i titoli) è stato meritevolmente definito con aggettivi altisonanti che non stò quì ad elencare, limitandomi a dire che con questo platter i Led Zeppelin hanno dimostrato di essere una Superband che non si è mai fermata cullandosi sugli allori conquistati in precedenza. Una band insomma, che come se per un misterioso sortilegio, per prima ha capito di avere numerose frecce al proprio arco e che  avrebbero tutte raggiunto il centro del bersaglio, ben cosciente che dell'incantesimo di cui si è protagonisti,  prima o poi si può diventare comparse.

Dalla prima all'ultima nota una surreale avventura sonora... per uno di quei dischi che dovrebbe rigorosamente presentare sulla copertina uno sticker fluorescente con la seguente scritta: "Parental Advisory": Explicit Original Rock !!!

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