Si tratta dell’album che più di tutti ho ascoltato nella mia vita, fatto sta che lo stereo non ne può più e sta cercando di distruggerlo. Il disco che mi ha fatto conoscere e amare questo gruppo che già mi attirava da quelle voci che lo denigravano per certi misteri, oscurità, ma anche grandezza e maestosità delle capacita di ogni membro. Dall’hard rock al folk, dal blues al rock and roll, ZOSO, è un’opera fondamentale per chi vuole addentrarsi nel mondo magico di questi quattro inglesi che fecero impazzire il mondo per le varie leggende che parlavano di camere d’albergo distrutte o di prestazioni sessuali desiderate dalle molteplici groupies.
Insomma ZOSO è l’album della maturità di Jimmy, Robert, John e Bonzo, dove in otto tracce i nostri offrono il sunto di quello che già avevano regalato ai fan con i primi 3 dischi anch’essi ottimi.
Si inizia con BLACK DOG hard rock allo stato puro con l’intro urlato di Robert, ma si continua, ed ecco che arriva ROCK AND ROLL, la mia preferita in ambito rock scatenato, che inizia con il famosissimo intro di Bonzo che nel finale ci delizia ancora un po’ regalandoci pochi secondi di assolo… la sua batteria è l’unica ad avere un suono che non stanca mai quasi come quello di una chitarra.
Dopo il delirio, la calma, si fa per dire, medievale con la folkloristica THE BATTLE OF EVERYMORE capolavoro in cui si intrecciano con perfetta armonia le voci di ROBERT PLANT e RAMY SHANDY. Segue il capolavoro assoluto del disco, e probabilmente di tutta la musica contemporanea, contendendosi il posto con la magica ECHOES dei PINK FLOYD, introdotta da fantastici flauti che evocano un mondo di favole (adatto per il SIGNORE DEGLI ANELLI) accompagnati poco dopo da una chitarra acustica e dalla voce sussurrata di PLANT.
È un lento crescendo che porta i LED ad apici emotivi mai raggiunti prima (siamo nel ’71) con l’aiuto di un fenomenale assolo di PAGE e dei forti battiti di BONZO in contrasto con la delicatezza dell’intera canzone. ZOSO però non è ancora finito, ripartono a raffica MISTY MOUNTAN HOP (ispirata dall’amato R.R. TOLKIEN) con le tastiere di JONES e FOUR STICKS (suonata con quattro bacchette) due esempi di rock possente e pieno di carica. Con GOING TO CALIFORNIA si ritorna alla magia, ai paesaggi bucolici che hanno ispirato III, altro apice del disco, segno di quel profondo attaccamento agreste e sognante del gruppo. Purtroppo siamo arrivati alla fine e fortunatamente ad un ennesimo classico, stavolta blues, ispirato da Memphis Minnie (del ’28) ed impreziosita dal riverbero della batteria di BONZO. Sarà l’album più venduto della band e quello dalla leggenda grazie alla copertina che allora uscì senza titoli perché il fan avrebbe dovuto riconoscere l’opera dalla musica.
All’interno (nel booklet) solo segni e simboli, uno di questi (zoso) diede il nome al disco e vari altri riferimenti alla magia (al presunto carattere satanico di alcuni versi al contrario di STAIRWAY… che portarono i nostri persino in processo) ad aumentare l’alone di mistero su uno dei gruppi più grandi di sempre.
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