Un album che non ha bisogno di grandissime presentazioni poiché fondamentale tanto per la carriera dei “fantastici 4” Plant-Page-Jones-Bonham che costituivano i leggendari Led Zeppelin quanto per tutta la storia del Rock mondiale dagli anni '70 a oggi è senza dubbio il conosciutissimo Led Zeppelin IV, pubblicato per conto della potente casa discografica dell'Atlantic tra la fine del 1971 e l'inizio del 1972.

La genesi di tale album richiede, tuttavia, una trattazione ben più ampia, a partire dal periodo in cui esso fu registrato: le prima fasi iniziano, infatti, nella seconda metà del 1970, quando il quartetto, umiliato dalle pesanti critiche ricevute soprattutto dalla stampa di Oltremanica in occasione del loro Led Zeppelin III di quell'anno, giudicato fin troppo “leggero” e ben lontano dalla furia del famoso “bombardiere marrone” (l'altrettanto conosciuto Led Zeppelin II), decide di mettersi nuovamente al lavoro per un pronto riscatto, registrando le prime tracce dapprima nell'amena località agreste di Bron-Y-Aur in Galles (dove, tra l'altro, fu registrato il III), spostando poi la produzione presso le campagne di Headby Grange ne l'Hampshire ed infine a Los Angeles, considerata a tutti gli effetti la loro “seconda casa” (per motivi riconducibili, soprattutto, alla grande popolarità che lì avevano ottenuto fin dagli esordi differentemente che nella madre patria).

Ma l'album in questione sale agli onori della ribalta per le grandi polemiche che si scatenarono tra il gruppo e la casa discografica circa la realizzazione dello stesso: se da un lato, infatti, il gruppo spingeva per una copertina scarna (costituita di fatto da un quadro in cui è presente un anziano signore intento a trasportare in spalla un carico di fascine), dall'altro ciò scatenò le reazioni inizialmente indignate dell'etichetta che, di contro, vedeva tale operazione come un danno, secondo la prassi ricorrente all'epoca, per le eventuali vendite.

Fatto sta comunque che tale disputa legale fu vinta dagli Zeppelin che così ottennero dall'Atlantic l'autorizzazione di inserire anche all'interno dell'album un'altra immagine evocativa (ritraente il vecchio eremita dei tarocchi, probabilmente posseduti dal celeberrimo occultista inglese Aleister Crowley di cui Page era un fanatico sostenitore) e un foglietto che riproduce, in un lato, i titoli delle canzoni e i famosi “five symbols” identificativi del gruppo: ZoSo per Page, un cerchio con una piuma d'oca al suo intento per Plant, un fiore di loto con un cerchio sullo sfondo per Jones e tre cerchi concentrici intersecati tra loro per Bonham. Nell'altro lato abbiamo, invece, il testo stampato della loro canzone di punta per antonomasia, nonché capolavoro assoluto tanto della loro produzione quanto del Rock anni '70: la già citata Stairway To Heaven.

Ecco dunque che passiamo alla trattazione in senso stretto dell'album che esordisce con l' “aprite il fuoco” della trascinante Black Dog che vede un Page già bello carico a suon di potenti riff e di assolo finale e un Plant alle prese con i soliti gorgheggi al limite dell'isteria. Segue l'altrettanto splendida Rock 'N' Roll, ispirata da un'improvvisazione alla batteria di Bonham della famosa Good Golly Miss Molly di Little Richard dalla quale Plant tirò fuori di getto il testo e Ian Steward (famoso tastierista collaboratore all'epoca per i Rolling Stones) un bel boogie al piano elettrico.

La prima facciata prosegue con l'incantevole folk/rock di The Battle Of Evermore, ispirata ai racconti fantasy di Tolkien e che vede come ospite la voce soprano dei Fairyport Convention Sandy Danny che duetta magistralmente con Plant in un impasto di voci senza dubbio affascinante.

Il piatto forte viene servito con la già citata Stairway To Heaven con protagonista le vicende di una donna alla continua ricerca della cosiddetta “scala per il Paradiso”, simbolo, a sua volta, di una sostanziale purezza interiore alla quale ella stessa ambisce, ma in realtà tale canzone si compone di due parti: la prima è scandita dalla magica chitarra acustica di Page e da un magistrale John Paul Jones all'organo Hammond con Plant che scandisce questi indimenticabili versi iniziali: “There's a lady who's sure all that glitters is gold / and she's buying a Stairway To Heaven / and when she gets there she knows / if the stores are closed / with a word she can get what she came for”; nella seconda, invece, si assiste ad un incredibile crescendo, condotto dalla batteria come al solito trascinante di Bonham e da un magnifico assolo di chitarra elettrica (non la sua solita Gibson LesPaul, bensì una Fender Telecaster del '62, regalatagli addirittura dal celeberrimo Jeff Beck all'epoca della sua militanza nei The Yardbirds, in luogo del leggendario Eric Clapton poi accasatosi nei Cream), considerato a tutti gli effetti uno dei migliori (se non il migliore) assolo di chitarra della storia del Rock.

La seconda facciata si apre con l'avvolgente Misty Mountain Hop, contraddistinta dal piano elettrico di Jones e dalle rullate come sempre possenti di Bonham, seguita da Four Sticks dall'impatto decisamente funk e dal pezzo folk Going To California, chiaramente dedicata alla mitica folk singer canadese Joni Mitchell e con tema ispirato, come si evince anche dal titolo stesso, alle vicende degli Zeppelin in terra californiana dagli esordi.

L'album si conclude con la possente When The Levee Breaks, ricavata da Page da una registrazione di un classico blues del 1928 e geneticamente trasformata con l'inserimento di chitarre distorte e di un assolo di armonica con l'eco al contrario, quasi a simboleggiare il viscerale attaccamento degli Zeppelin a quel “sentimento blues” che fin da subito ha per loro rappresentato la pietra angolare sulla quale basare la propria fulgida carriera.

In sostanza, abbiamo così a che fare con un album dalle proporzioni storiche che potrebbe già bastare di per sé per descrivere al meglio le meraviglie di questo leggendario “Martello degli Dei” soprattutto nel periodo di loro massimo splendore, iniziato di fatto con questo album e perpetuato con i successivi Houses Of The Holy del 1973 e con il doppio album Physical Graffiti del 1975.

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