Il quarto album dei Led Zeppelin, pubblicato l'8 novembre 1971 dall'Atlantic Records, è privo di un titolo ufficiale e identificativo. Prese questo nome, dopo un lungo dibattito all'interno della casa discografica, per una logica conseguenza con l'enumerazione delle fatiche precedenti dei Led. Ebbe un successo stratosferico, soprattutto in America dove vendette 23 milioni di copie e restò per 268 settimane in classifica, e poi in tutta Europa passando per l'Australia. La durata del disco è di 42 minuti, per un totale di otto tracce. E' un capolavoro; sì, ok, sarà banale dirlo, ma va ribadito: CAPOLAVORO. Le prime tre tracce, giusto per rendere l'idea, sono: "Black Dog", "Rock'n'Roll" e "The Batlle of Evermore". Una scarica di adrenalina spontanea quanto voluta e cercata, un connubio tra un suono idilliaco e una capacità di scrittura così enormemente geniale che hanno dato vita alla rivoluzione musicale e culturale degli anni '70. Robert Plant sembrava come posseduto da un demone che gli tirava fuori delle perle incontaminate e illuminanti, una creatività che non ha avuto ne precedenti ne successori. Jimmy Page, divinità assoluta e alla quale ci inchiniamo con riverenza e reale rispetto. Lui e la chitarra erano un tutt'uno, si dominavano e si respingevano a vicenda, si amavano e si odiavano all'unisono, si accarezzavano e si accoltellavano come solo due perfetti amanti sanno fare. In questo album c'è tutto il contrario di tutto. C'è eresia e utopia, c'è genialità e spudorata naturalezza, c'è follia e malinconico raziocinio. E' come stare sulle montagne russe, un sali e scendi continuo, un restare in bilico tra sogno e passione. Se tutto fosse spiegabile, questo disco sarebbe un dipinto di Van Gogh, un libro si Saramago o una giocata di George Best. Se tutto fosse spiegabile, "Stairway to Heaven" non esisterebbe. Sono otto minuti di totale godimento, di persuasione interiore che ti dilania e ti schiaccia, ma che allo stesso tempo ti salva. Sono otto minuti in cui ti distacchi da te stesso, in cui viaggi verso una sorta di iperuranio che ti accoglie spaesato. Genera, questa canzone, un effetto ipnotico, mesmerizzante, che non è spiegabile: ne umanamente ne letterariamente. E poi quell'assolo, così perfetto, così poetico, così tremendamente epidermico. Quell'assolo che ti entra dentro senza chiederti permesso, che ti scorre nelle vene deponendo qualsiasi ascia di guerra. Non ci sono parole, espressioni, masturbazioni cerebrali, che possano narrare questo disco, perchè è perfetto così. Era perfetto quando è stato concepito e, quelle cose, non potevano essere dette diversamente che in questo modo. Siamo di fronte a una disarmante opera d'arte, senza padri ne padroni, ma figlia di tutti.

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