Accade anche nelle migliori famiglie, mi riferisco al perdersi il ritorno di uno dei tuoi gruppi di elettronica preferiti dopo sedici anni. Questo è ciò che è successo con il terzo album dei Leftfield, di cui ho scoperto l'esistenza con mostruoso ritardo. Per farmi perdonare mi sembra il minimo fare ammenda con una bella recensione. Alternative Light Source vede un ritorno a metà. A essere precisi, dal fantastico e indimenticabile Rhythm and Stealth del 1999 è rimasto solo Neil Barnes, che prosegue quindi il progetto Leftfield come one man band. Non sono un grande fan di queste soluzioni, e infatti l'album sembra aver perso molte delle caratteristiche che hanno consegnato alla storia il duo. Ci sono alcuni particolari che mi hanno lasciato inizialmente perplesso, ma ciò non toglie che rimanga un disco parecchio interessante e, soprattutto, godibile dall'inizio alla fine.

Bad Radio apre le danze con una intro quasi 8 bit, synth e bassi da SID Commodore ci portano dentro una electro in crescendo continuo, che si avvale della partecipazione di Tundle Adebimpe. Si sente fin da subito che dietro ci sono sapienti mani a gestire i lavori, anche se solo due e non più quattro. Quello che mi ha lasciato basito è il sound bidimensionale, che appare in netto contrasto con la pulizia e la spazialità dei precedenti dischi, dall'epica techno di una Open Up siamo scesi a un dicorso più ristretto e intimo, non nitido, con una sporcizia controllata e una probabile volontà di leggere i suoni contemporanei. Il prezzo sull'identità potrebbe essere salato, si fa strada il sospetto che sarebbe stato meglio presentarlo come un disco solista di Barnes, o un altro progetto, ma non tutto è completamente sfumato dell'anima Leftfield, e basta questo sottile filo rosso per tenere in piedi il meccanismo. Procedendo sulla logica del "secondo brano del tipico album di elettronica, pensato per farti muovere il sederone", Universal Everything prende con grande serietà il compito, apre la cassa a stecca e ci spinge a calci in una techno sostenuta e sorprendente, ma sospesa in un limbo imperscrutabile. Sembra "moderna", ma a tratti viene pervasa da ondate di deja vu da brividi senili. Le virate di tonalità della mesmerizzante bassline rimandano inequivocabilmente ai Jam & Spoon dei novanta, allo stesso modo l'utilizzo meccanico degli hat richiama ancora Elmer e Loffel. Questa passione per i due eroi di Francoforte è veramente curiosa, ma essendo un loro fan non posso che apprezzare. Il brano è lungo, sette minuti che non annoiano mai, e culmina con un climax veramente esaltante. Bilocation riporta a un discorso electro beat, con snare oriental indubbiamente leftfieldiano, megabassline stile Apparat e venature pop gentilmente conesse dalla diva di turno, Channy Leaneagh. Il beat però, caro Barnes, suona un filino "stock library". Anche qui si fa rapidamente strada una progressione quasi chiptune, con layer in accumulo molto piacevoli, tanta melodia e poca voglia di skippare il pezzo. Molto bene. Head and Shoulders si avvale degli Sleaford Mods, già visti recentemente con i Prodigy, con una lunga variazione dub governata da una bassline velenosa. Si ascolta tutta con piacere, ma non ci si esalta, forse poteva durare meno e non sono un fan accanito del cantante.

Dark Matters è una placida e sintetica strumentale che si occopa del lato più introspettivo di Barnes, forse guardando ai Crystal Castles e con un ossimoro tra progressione e ripetizione: c'è sempre qualche nuovo suono dietro l'angolo pronto a tenere alta l'attenzione, e io queste finezze le apprezzo sempre. Little Fish sembra un omaggio incrociato agli Underworld e i Chemical Brothers, dai primi recupera la frenetica ritimica techno, dai secondo il metodo di canto, con inserti vocali femminili distorti. A ogni modo si tratta dell'ennesima occasione per sfoggiare indubbie capacità compositive e di sound design, La voce è utilizzata come uno strumento e si sposa perfettamente con i suoni. Alternative Light Source e Shaker Obsession sono due parti antitetiche di un analogo discorso, la prima apre con un sample di chitarra acustica che si lega rapidamente con librerie ampiamente note ai fan dei Leftfield, ma anche qui arriva più o meno inaspettatamente un synth in delay che riporta ancora agli 8 bit e la chiptune. Il pezzo procede drumless per svariati minuti, ma tenendo alta la tensione, che culmina nel delirio di, appunto, Shaker Obsession, il pestone scatenato che ci ributta in pista sotto una bella strobo. Nonostante il cambio di ritmo, il brano mantiene nella prima parte i medesimi arrangiamenti, presentando una coerenza quasi "concept", mentre sul finale Barnes dirotta sulla freeform scatenando contorti loop di synth in distorsione. La fine del viaggio arriva con Levitate For You, spettrale techno soul in arpeggio e delay, arricchita dalla voce di Ofei. Forse in questo caso l'alchimia di Little Fish non viene replicata.

Senza neanche accorgersene, questi 10, molto concisi e ragionati brani sono già passati, facendomi realizzare di aver ascoltato un album di quasi un'ora senza mai avere la voglia di saltare un pezzo, o sentirmi annoiato, e questo è già un grande traguardo per Alternative Light Source. Realizzare un disco memorabile, o anche solo al livello dei precedenti Leftfield è un altro discorso. Evidentemente Paul Daley portava quel qualcosa in grado di segnare il territorio tra un ottimo lavoro e un capolavoro. Non ho idea se questo disco possa bastare per colmare un'assenza di sedici anni, ma quello che abbiamo per le mani rimane un ritorno di tutto rispetto per Barnes, che consiglio caldamente di ascoltare.

Carico i commenti...  con calma