Nella California dei primi anni 80, non si contavano davvero le centinaia di band sorte all’indomani della rivoluzione punk. I Ramones e i Sex Pistols (la generazione del ’77) avevano indotto intere legioni di adolescenti a prendere in mano uno strumento o un microfono, con lo scopo (anzi, il bisogno) di dire cose serie, vitali, urgenti nel modo più efficace possibile, in modo da trasmettere le loro sensazioni ai coetanei. Los Angeles fu in prima linea: una valanga di band, concerti, E.P., fanzine, etichette (pensate che il mitico Greg Graffin fondò la celebre Epitaph a 16 anni!) riscrissero, in quell’epoca, la storia del rock. Andatelo a dire a quelli che credono che il punk sia nato e morto nel ’77 e che la new wave sia stato un fenomeno effimero, legato a qualche singolo di synth-pop o a qualche dark-band di culto. La new wave, tra le sue mille incarnazioni, ne ebbe una assai significativa (e oggi, colpevolmente dimenticata) che prese piede nella west-coast all’inizio dell’era reaganiana e che si rivelò parente stretta della scena hardcore locale, il cosiddetto “beach-punk”. Si trattava di un gruppo di band che, in buona sostanza, suonavano il “vecchio rock’n’roll”. Ma non facevano revival. Si ispiravano anzi al più classico dei generi rock, per ribaltarne gli assunti dionisiaci e rivelarne l’anima nera. Tra questi, i più conosciuti furono forse gli X di Exene Cervenka. Ma ciò che gli X facevano in maniera elegante, pulita, talora estetizzante, un’altra band lo faceva virando su tonalità plumbee, scure, ponendo l’espressione in pozisione prioritaria rispetto alla forma: erano i Legal Weapon della bella Kat Arthur.
Amarezza, disillusione, fatalismo, pathos, nevrosi: questo traspare dalla new-wave dei Legal Weapon. Modello imprescindibile di questa “wave’n’roll” al femminile resta ovviamente la Patti Smith dei primi album, maestra (grazie all’insostituibile apporto di Lenny Kaye) nel dare una ragion d’essere nuova ad una musica che pareva sepolta nell’età classica del rock (50’s/60’s). 

“Your Weapon” è il secondo disco dei Legal Weapon, uscito (come l’esordio “Death of Innocence”) nel 1982. L’empatica voce di Kat Arthur è qui accompagnata da un power-trio di signori musicisti, capaci di trovare il giusto compromesso tra conoscenze tecniche, capacità esecutive, feeling ed espressività. “What a scene” apre il disco all’insegna di una partitura tanto semplice quanto articolata, con una chitarra che alterna riff scanditi a rosari rockabilly (degni del collega Billy Zoom), assoli dei più classici e variazioni sul tema, una sezione ritmica in grado di passare da tribalismi forsennati a stop improvvisi: su tutto, svetta però il disincanto della Arthur, sporadicamente sostenuta da flebili cori di rinforzo. Cori che salgono in cattedra nel capolavoro “The Stare”, dai sapori sorprendentemente maideniani (dopotutto, anche gli Iron all’epoca facevano, a modo loro, new-wave…): una corsa concitata e senza speranza verso una fine tanto certa quanto liberatoria; un canto ansiogeno, desolato, dolente; un refrain consolatorio; una chitarra alla deriva, che nel finale si lancia in un assolo ovattato che sfuma in gemiti verlain-iani…Poi tocca a “What is wrong with me”, il pezzo più onirico di tutto il disco, in cui una sonnambula Kat si muove in punta di piedi sulle impennate di basso, sulle aggraziate frasi di chitarra, sulla batteria marziale: un sogno che sfuma dolcemente. “Equalizer” è l’unica oasi di spensieratezza: 3 minuti e mezzo di grintoso rock’n’roll.
 La seconda facciata si inaugura all’insegna della nevrastenia più acuta: in “Bleeders”, uno snervante tour-de-force di una chitarra triturata su di una ritmica paludosa, tortuosa, frastagliata, fà da sfondo alle elucubrazioni della Arthur, qui tutta presa da un mood pensoso e introverso. Un vero calvario. E’ poi la volta di “Only lost for Today” e dei suoi molteplici cambi di tono, ora sprezzante, ora serena, ora isterica. Lo strumentale “Ice Age”, coi suoi risvolti funkeggianti e la sua geometria circolare, conferma la preparazione tecnica del combo. Nella tesa, febbrile, pulsante, quasi insostenibile “Hand to Mouth” pare di essere inseguiti senza sosta da un nemico sconosciuto. E’ un degno preludio al gran finale, “Caught in a Reigh”, probabilmente il miglior brano dell’opera: un giro di basso sconsolato, una chitarra satura, sgranata, dissolta, già mould-iana, un canto elegiaco dalle tinte country, vicino all’epica del Boss, perdutamente malinconico, un magone che solo la new wave più ispirata ha saputo rendere…Come uno stato d’animo di serenità provvisoria, volubile, fragile, di quelli che si rivoltano in depressione al primo scoglio, ma che sono anche in grado di sopportare il peso della vita, grazie all’esperienza, alla consapevolezza, alla capacità di farsi una ragione per sopravvivere al dolore dell’esistenza: questi sono i Legal Weapon.

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