Strana bestia il r’n’r. Chi ne segue il richiamo selvaggio rischia o di bruciare subito (la lista delle morti celebri del rock è fin troppo lunga), o di spegnersi lentamente (vedi imbolsite rockstars che vogliono fare ancora i giovincelli, e qui ognuno può dire la sua). Sembra che il fedele seguace dello spirito r’n’r sia destinato a una fine in entrambi i casi non augurabile. Ma, fortunatamente per noi appassionati, qualche artista riesce a tenere viva nel tempo la fiamma selvaggia del r’n’r senza morirne bruciato. Il primo esempio che mi sovviene è Iggy Pop. Subito dopo però viene il personaggio in questione, Mr. Leighton Koizumi.
Figura cardine della scena neo-garage degli anni ’80, prima nei Gravedigger V e poi nei Morlocks, di lui si perdono le tracce verso la fine del decennio in questione, in concomitanza con la bassa marea del revival garage. Secondo alcuni è finito schiavo dell’eroina, secondo altri addirittura morto e sepolto. Poi, all’inizio del nuovo millennio, come un futuristico Lazzaro risorge, e decide che è ora di tornare sulla scena. Forma una nuova band in patria (i Featherwood Junction), e nel 2003 viene per ben due volte in tour con una garage band nostrana, i Tito and thee Brainsuckers.
L’impressione che lascia la loro esibizione dal vivo è quella di un riuscito incrocio fra un rito pagano e una lezione di storia della musica; un live set incentrato sulla rivisitazione di classici del rock minore dei sixties, interpretati nella maniera più selvaggia possibile dal nostro Leighton.
Il disco raccoglie appunto tali covers, ma nella loro dimensione in studio. Il risultato è a dir poco strabiliante, rendendo l’opera un Bignami del garage rock, un disco da consultare ciclicamente per ricordare e onorare un certo modo di intendere la musica. I nomi e le canzoni più note sono rappresentate da un’infuocata No Fun degli Stooges, I Need You dei Kinks e l’unica ballad, la struggente Signed D.C. dei Love. Ma gli episodi più riusciti rimangono altri: 99th Floor dei Moving Sidewalks, più punk dell’originale, Cry in the Night dei semisconosciuti olandesi Q ’65, e soprattutto le infuocate versioni di due gioielli garage, No Friend of Mine degli Sparkles e Born Loser dei Murpy and the Mob. La title track, originariamente suonata dagli albionici The Eyes, è una sorta di danza voodoo psichedelica che si snoda per oltre sette minuti, in cui la chitarra tratteggia psicotici fraseggi, è di sicuro il capolavoro del disco e suggella degnamente la fine di un’opera dal valore enciclopedico.
Il possesso di tale album può provocare i più svariati effetti: alcuni vostri cd di “cosiddetto” r’n’r si vergogneranno a morte e cercheranno di suicidarsi gettandosi dallo scaffale; voi stessi vi ritroverete a girare come cani poliziotto per i negozi di dischi della zona, cercando di scovare qualcuno dei gruppi qui presenti. In ogni caso l’importante è abusare del prodotto in questione per meglio godere degli effetti a lungo termine sia nel corpo che nello spirito. Lunga vita al r’n’r!
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