Ammetto di essermi sentito un po' spiazzato al primo ascolto, mi aspettavo una raccolta di grandi canzoni sulla scia di Ten New Song, invece mi ritrovo tra le mani un disco che più che una raccolta di canzoni è un mosaico di sperimentazione, appunti, omaggi, citazioni, simboli, ricordi e dediche.
La poesia è sempre stata la componente fondamentale di tutta la discografia di Cohen che ha sempre saputo amalgamarla bene alle sue composizioni e alle sue ballate, ma credo che in quest'ultimo lavoro Cohen si sia spinto ancora più a fondo.

Infatti, questo perfetto mix di poesia e musica viene spesso e volentieri sciolto, come se Cohen andasse a ritroso sul suo stesso processo compositivo, in questo senso "Villanelle For Our Time" è piuttosto illuminante, è sicuramente una gran composizione figlia della sperimentazione musicale, che svela le grandi doti di musicista del poeta canadese.
La sperimentazione è elemento indispensabile per capire questo lavoro, che in realtà è molto più complesso di quello che potrebbe far apparire un ascolto poco attento, ma non è certo l'unico!
Cohen, infatti, ci delizia anche con delle canzoni old-fashion come le stupende "Nightingale" e "The Faith", in cui il nostro torna alla forma più tradizionale e pura della musica ovvero il folk.

Dear Heather è un disco formidabile che alla lunga si trasfigura diventando sempre più indispensabile e le canzoni che correvano lungo quel confine che separa il ridicolo dal sublime spiccano il volo e si addentrano in quella stessa oscurità, più profonda della sofferenza che attanaglia il cuore del protagonista di "Tennesse Waltz", il classico country di Pee Wee King con cui Cohen ha voluto simbolicamente chiudere questo disco, mentre a noi non rimane altro che arrenderci ancora una volta al capolavoro.

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