Dopo una attenta e acritica fase di osservazione e di lettura del DeBaser, posto simpatico e pieno di soggetti caratteristici, mi sono reso conto che di gente che capisce qualcosa di musica ce n'è davvero poca. Si è vero ci sono un sacco di persone che vanno contro un certo mainstream, che conosco band e artisti sconosciuti al volgo, che recitano la parte di un certo proletariato nostalgico, infarcito di una ideologia marxista della musica.
Ma, la musica non è una equazione algebrica: non sta scritto da nessuna parte che la band rock che suona nel garage di una vecchia officina o che l'artista di strada sfigato e bravo sia più bravo di chi raggiunge la celebrità. Cosi' come non è vero il contrario. Bisognerebbe avere un approccio critico in generale, non schematico. Bisognerebbe capire che la musica è libertà assoluta come l'arte tutta e in tal senso un approccio schematico e cosi' materiale (cosa è in fondo il marxismo se non la filosofia più materiale e cinica mai esistita?) è da orbi.
Dopo la necessaria premessa, mi accingo a recensire nel 2012 un album di Leonard Cohen, probabilmente il più grande e forse cupo cantore mai esistito. Ha avuto spesso sensazioni contrastanti nell'approcciarmi ai suoi dischi (parliamo della prima parte della sua produzione) e la sua grandezza e il suo modo confidenziale e poetico di cantare ha spesso suscitato in me anche una certa sensazione di malessere. Spesso mi sono tenuto a debita distanza, prediligendo altra roba, provando a cercare nella musica sensazioni diverse da quelle di abbandono e di trastullo nostalgico che la sua musica suscitava in me. Ci ho pensato un bel po sù anche prima di ascoltare questo "Old Ideas", ma alla fine il giudizio non può che ancora essere lo stesso: sebbene la sua forma musicale sia cambiata molto nel corso degli anni, resta la capacità unica e straordinaria di sussurrare all'animo, di creare un'atmosfera avvolgente, di dare alle sue liriche un tono incredibilmente intimo e confidenziale. Sotto una coltre di suoni scarni e minimali (potremmo quasi parlare di minimal jazz se mi viene consentita questa espressione), la sua voce calda e graffiata dal tempo parla e crea una melodia affascinante e fuori dal tempo. La grandezza della musica è nella sua capacità di sospendere il tempo: in questo lavoro questa regola vale a pieno. Cohen a settantanni regala una perla di saggezza e di classe musicale difficile da lasciar passare senza batter ciglio. Il disco scorre in modo impeccabile, quasi come se non ci fosse alcuna piega in essa, senza alcuno spigolo. Si tratta semplicemente di storie brevi e sussurrate, di atmosfere calde e raffinate, di un non so che di trastullante e di rassicurante.
Si proprio Cohen, il poeta tormentato e un po decadente, in questo album manifesta una serenità e un equilibrio di animo che a settantanni lasciano intravedere una sorte di arrivo sereno e pacato della propria esistenza al termine di un cammino tortuoso e difficile. Un altra forma musicale rispetto al cantautore che ha ispirato tanti artisti (compreso il nostro De Andrè), ma pur sempre di una classe e di un tocco inarrivabili. Lavoro decisamente sopra la media, direi molto sopra la media.
Carico i commenti... con calma