The Future (1992), è l’ultimo grande disco di Leonard Cohen.
In questa opera Cohen dimostra che "Various Positions" e "I'm Your Man", dischi che lo avevano preceduto, non erano fuochi di paglia, la verità è che Cohen era tornato davvero grande dopo un decennio (74-83) oscuro. Il tono dell'album è comunque rilassato e talvolta tratti felice: anche se poi non possiamo fare a meno di notare il clima apocalittico delle liriche da "fine del milennio". Richiesto di commentare l'attentato alle Torri gemelle, Cohen si è limitato a rimandare l'intervistatore ai testi di tre sue canzoni: "The Future", "Anthem" e "Closing Time". Non c'è spazio qui per riportare le traduzioni di questi testi, ma consiglio vivamente di leggerli.
Tutto il disco è permeato da un'atmosfera di sinistre premonizioni e di fine di qualcosa ("Closing Time", appunto, ora di chiusura). Evidentemente Cohen guardava le cose con occhio profondo riuscendo a percepire cosa c'era nell'aria meglio dei servizi segreti...
Dentro questo disco molto ispirato troviamo un pop raffinato e adulto e un poco oscuro. Ma come sappiamo, la parola Pop ha ben poco da fare con Cohen, bisogna lasciarsi trasportare dalle emozioni e basta.
La prima song di questa raccolta è anche quella che le dà il nome. The Future, e un virile pop-rock con lo shouter roco di Cohen da macho un poco patinata (ma voluta e non fine a se stessa).
"Ci sarà la rottura dell'antico codice occidentale / La tua vita privata esploderà all'improvviso / Ci saranno fantasmi / saranno sulla strada / e l'uomo bianco danzerà. / Ridatemi il Muro di Berlino / ridatemi Stalin e San Paolo / Ridatemi Cristo o ridatemi Hiroshima... / Ho visto il futuro, fratello: è assassinio."
Quando leggo questo testo ho la sensazione che Cohen abbia profetizzato ciò che stiamo vivendo oggi.
Waiting For Miracle, lentissima ballata d’amore con andamento western-morriconiano-visionario, in certi tratti il battito si fa talmente lento che pare fermarsi, lambendo la stasi assoluta.
Be For Real languida ballata sofisticata dallo stile classico.
Il pezzo più trascinante di The Future è senza dubbio "Closing Time", con il magnifico coro-refrain... "Stiamo a bere e a ballare / ma non accade mai niente per davvero. / Questo posto è morto come il Paradiso il sabato sera"
Anthem è un'elegia raffinata della redenzione che cresce d’intensità pian piano con la voce da crooner di Cohen e i cori che enfatizzano la sua voce e i violini atmosferici che creano un tappetto romantico (con frequenti manifestazioni di arcangeli lassù in alto) in cui è difficile rimanere impassibili.
Mi sto dilungando, ma se mi consentite, l’entrata della voce di Cohen in questo pezzo mi “tocca”.
Questi pezzi bellissimi sono un altra prova che Cohen è uno dei pochi artisti che riesce a regalare emozioni anche a sessanta anni, e piu questi gioielli sono dilatati nel tempo più sono preziosi (tra The Future e il prossimo disco passeranno ben 9 anni).
La canzone più "politica" di The Future è sicuramente "Democracy". Un testo dal sarcasmo ironico che consiglio di cercare e leggerlo.
Light As A Breeze, gemma misconosciuta:
"Morbidi bagliori nella notte , copulano estasiati, svaniscono, ipnotici ci abbeverano di night air , alfa and omega trasognati si cadenzano vicendevolmente, si accendono e si spengono, e vanno alla deriva felici e dimentichi del nostro mondo di confini."
Anche il canto è diventato piú colloquiale, intimo, Cohen canta come un crooner da nightclub alle ore piccole.
Always, e il pezzo più svagato, ensemble da piano–bar, e Cohen un po' patetico, ma crediamo che lo sia solo per prendersi un po' in giro…
Tacoma Trailer, salmo da coda di un film immaginario, forse il canto del cigno di Leonard Cohen, requiem per pianoforte sulle ventate funebri dei sintetizzatori, che non fanno altro che avvalorare la tesi che sia un congedo, non definitivo dato che tornerà dopo 9 anni ma non più a questi vertici, di certo non è un arrivederci dato il tono da “fine di qualcosa“ di questo bellissimo disco, e questo non può che farci venire un groppo alla gola.
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